I numeri del paese anormale restano sempre di tutto rispetto: dall’economia sommersa alle attività illegali, si arriva a un valore aggiunto di 206 miliardi di euro, pari al 12,9% del pil italiano. Da brividi anche i dati sul lavoro irregolare, nero o grigio che sia: ben 3 milioni e 487mila persone, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 438mila), con un tasso di irregolarità, calcolato come incidenza delle unità di lavoro (Ula) non regolari sul totale degli occupati, del 15%. Tutti dati del 2013, messi in fila dall’Istat nel rapporto “Anni 2011-2013 – L’economia non osservata nei conti nazionali”.
L’Istituto nazionale di statistica la definisce “economia non osservata”, calcolandola come l’insieme di economia sommersa e illegale. Si va, nel primo caso, dai grandi capitoli delle sottodichiarazioni di fatturato e costi, all’impiego di lavoro irregolare, passando per quelli più piccoli come mance o affitti in nero. Nel secondo caso si comprendono invece i proventi del traffico di stupefacenti, della prostituzione e del contrabbando di sigarette.
Nel complesso, il valore aggiunto generato dall’economia sommersa vale, nel 2013, circa 190 miliardi, pari all’11,9% del pil, in aumento rispetto agli anni precedenti (11,7% nel 2012, 11,4% nel 2011). Quanto al valore aggiunto connesso alle attività illegali, sempre nel 2013 vale circa 16 miliardi, pari all’1% del pil. Di qui il dato finale di 206 miliardi.
Sul versante dell’illegalità tout court, senza considerare l’indotto creato dal loro commercio (1,3 miliardi), la parte del leone la fanno gli stupefacenti: le attività legate al loro traffico arrivano a segnare un valore aggiunto di 11,5 miliardi (un miliardo in più rispetto al 2011). Per la prostituzione, le stime nel periodo di riferimento restano stabili a 3,5 miliardi, mentre il contributo di valore aggiunto dal contrabbando di sigarette è di 0,3 miliardi. In altre parole, gli italiani hanno speso nel 2013 più di 14 miliardi per droghe assortite, 3,9 miliardi per sesso mercenario e 0,4 miliardi per le “bionde” di contrabbando. Totale 18,4 miliardi, dato in crescita (18,1 miliardi nel 2012 e 17,0 miliardi nel 2011).
I numeri del sommerso sono comunque ben più grandi. Appunto 190 miliardi, che l’Istat analizza calcolando che per quasi la metà, il 47,9%, arrivano dall’attività sotto-dichiarata dagli operatori economici. La più classica delle evasioni fiscali insomma. Il resto è attribuibile per il 34,7% al valore aggiunto prodotto dal lavoro irregolare, per il 9,4% ad altre componenti (fitti in nero, mance e integrazione domanda-offerta), e per l’8% alle attività illegali.
In alcuni settori, l’incidenza sul valore aggiunto dei flussi generati dal sommerso è molto alta: sul podio “Altre attività dei servizi” (32,9%), “Commercio, trasporti, attività di alloggio e ristorazione” (26,2%), e “Costruzioni” (23,4%). Il peso della sotto-dichiarazione sul complesso del valore aggiunto prodotto in ciascun settore è elevato nei Servizi professionali (incidenza del 17,5%), nelle Costruzioni (14,2%) e nel Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (13,9%). All’interno dell’industria, l’incidenza è più marcata nelle attività legate alla “Produzione di beni alimentari e di consumo” (8,3%) e molto contenuta in quelle di “Produzione di beni di investimento” (2,7%).
La componente di valore aggiunto legata al lavoro irregolare è ampia negli “Altri servizi alle persone” (21,7%), dove è principalmente connessa al lavoro domestico, e nell’Agricoltura, silvicoltura e pesca (15,4%). Il tasso di irregolarità dell’occupazione risulta particolarmente alto nel settore dei Servizi alla persona (45,%); seguono l’Agricoltura (17,6%), il comparto del Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (15,6%) e le Costruzioni (15,4%).