L’ex ministro delle finanze greco Varoufakis torna alla ribalta delle cronache promettendo di pubblicare per esteso le trascrizioni di cosa si sono detti i leader europei durante i vertici della prima metà del 2015 con la ges. Si tratta degli incontri che hanno condannato la Grecia al suo triste destino di austerità e che suscitarono in quella estate cruciale un passaparola sui social: this is a coup (questo è un golpe). In realtà non era un golpe, ma solo un passaggio in cui la logica profonda dell’eurosistema si disvelava agendo in maniera scoperta.

L’economista ci ha già raccontato molto nel suo testo Adults in the Room, il cui suggello è la sua asciutta affermazione contenuta nel film Piigs (sempre da rivedere): «Si parla di deficit democratico nella Ue ma il livello di democrazia è zero. Zero è un numero radicale» (come si concili tale coscienza con le prospettive di euroriforma professate dal 2016 dal professore greco resta un problema che chiama in causa più la provvidenza di manzoniana memoria che una rigorosa prospettiva politica). A giudicare dalle reazioni piuttosto preoccupate degli interessati ci sarà da divertirsi. Cosa avranno detto di così brutto rispetto alle loro azioni, già sufficientemente eloquenti?

Non si dovrebbe scordare che testimonianze simili indicano che i rapporti di forza reali fra Stati membri sono il vero metro per definire la possibilità di riforme veramente solidali di Ue e Eurozona. Che si potrebbe avvicinare alla cifra indicata da Varoufakis: zero. Tale è la posizione ribadita più volte da Eric Toussaint, portavoce del Cadtm (Comitato per l’abolizione del debito illecito) e tematizzata nell’importante documento, ampiamente discusso da militanti di vari paesi, dal titolo Le sfide della sinistra nell’eurozona.

La «logica di pacchetto» cara al presidente Conte dovrebbe essere un farmaco contro tale triste prospettiva. Il pacchetto sarebbe «fare le riforme tutte insieme» per evitare che entri in vigore solo una parte di esse (cioè il Meccanismo europeo di Stabilità rinnovato) assieme a ciò che dovrebbe equilibrarlo. Ma le altre riforme che sono?

Si tratta di 1) lo strumento di bilancio per la competitività e convergenza; 2) l’Edis.

Il primo è di fatto una parte del bilancio Ue per aiutare i membri della Eurozona a fare delle riforme. Non sarà troppo arduo immaginarsi che si tratti della stessa pasta delle consuete raccomandazioni della Commissione. Secondo un rapporto commissionato dal deputato della Linke Martin Schirdewan le raccomandazioni della Commissione oltre a insistere sul contenimento della spesa pubblica con insistita, monomaniacale continuità, hanno esplicitamente prescritto il contenimento della spesa pensionistica (105 volte), la riduzione della spesa sanitaria o la esternalizzazione dei relativi servizi (63 volte), il taglio dei salari (50 volte), la riduzione dei diritti di contrattazione collettiva e della tutela contro la disoccupazione (38 volte).

E anche si trattasse di indicazioni meno regressive, si parla di parte del bilancio Ue, già considerato drammaticamente insufficiente, di cui le frenetiche riunioni di queste ore cercano di impedire la riduzione. Perciò si parla del nulla.

Il fondo Edis sarebbe la famosa assicurazione unica dei depositi; unica nel senso di dare una tutela a livello europeo facendo sparire la differente rischiosità del conto in Grecia e di quello in Germania. Cosa cui i paesi “virtuosi” si sono opposti ferocemente. E che comporta contropartite tali che lo squilibrio fra Piigs o nucleo eutotedesco cacciato dalla porta, rientra dalla finestra. Del resto a negoziare per l’Italia c’è il ministro Gualtieri, il negoziatore per conto del Parlamento europeo del fiscal compact. Siamo a posto…

Insomma più che un pacchetto un “pacco” (nel senso di fregatura) con tutti i crismi.