Un vero lapsus freudiano, da dieci e lode: a un certo punto del dibattito con la Cgil e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, due sere fa a Rimini, il responsabile Economia del Pd, Filippo Taddei, afferma che «il decreto sui contratti a termine e la delega sono un pacco». Ovviamente voleva dire ai cigiellini, riuniti per le Giornate del Lavoro, di non giudicare la riforma per pezzi, ma nell’insieme: il risultato però è ben diverso. Il pubblico comincia a ridere: «Sì, è proprio un pacco», si sente riecheggiare. E se lo ammette perfino un renziano di ferro…

Ilarità a parte, il confronto con il Pd e con Poletti era molto atteso: la Cgil non ha risparmiato critiche al decreto sui contratti, tanto più dopo che è stato peggiorato in Senato grazie a un infausto accordo tra i democratici e l’Ncd di Alfano e Sacconi. Scelta indovinata, è stata quella di invitare al confronto il professor Tito Boeri, che con precisione ha elencato tutti i limiti del provvedimento.

Unica interruzione nella discussione, l’irruzione di un gruppo di precari, sindacalisti Cub e studenti di Bologna: con bandiere «no coop», protestavano contro il ministro del Lavoro, ex presidente di Legacoop, ma anche contro Cgil, Cisl e Uil. Contestano in particolare l’appalto dell’ateneo emiliano con Coopservice, aderente a Legacoop, «che – affermano – applicando il contratto dei vigilantes a dei tecnici, ha dimezzato loro i salari da 1200 a 700 euro, retribuendoli 2,80 euro l’ora».

Tornando al dl Poletti, secondo Boeri c’è una «evidente contraddizione tra il primo Jobs Act, quello che Renzi aveva annunciato, parlando di garanzie crescenti verso una graduale stabilizzazione, e il decreto Poletti». «Si decide di agire subito togliendo le tutele – spiega il professore – tra l’altro con una forte ipocrisia rispetto alla sanzione introdotta di recente al Senato: se si parla di una multa pari al 20% della retribuzione di un lavoratore, si deve anche sapere che un contrattista a termine costa già il 40% in meno rispetto a un dipendente a tempo indeterminato».

A fronte di questo immediato regalo alle imprese, che anche quando pagano la multa restano quindi in guadagno, «si inserisce il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in un provvedimento futuro, la delega – dice ancora Tito Boeri – Ma è evidente che quest’ultima forma non verrà mai scelta dalle imprese se avranno a disposizione un contratto a termine senza più causali e utilizzabile a piacimento».

A rincarare la dose, la segretaria confederale Cgil Serena Sorrentino: «Si continua a precarizzare – dice – Una ricetta devastante, che negli ultimi 20 anni non solo ha diminuito la produttività e i salari, ma non ha dato risposte su crescita e occupazione. Perché liberalizzare ancora, quando abbiamo già 46 tipi di contratto?».

Poletti cerca di rispondere: «Abbiamo voluto fare in modo che un lavoratore possa restare 36 mesi sullo stesso posto, perché in passato l’impresa in quei tre anni cambiava diversi addetti. La causale l’abbiamo tolta perché generava molte cause, e quindi portava gli imprenditori a non assumere. Il decreto era necessario subito, per cogliere la ripresa, mentre il contratto a tutele crescenti lo abbiamo inserito in una riforma complessiva, più lenta, che include la semplificazione delle forme di lavoro e gli ammortizzatori».

«Ma io – conclude il ministro davanti a una platea Cgil che rimane molto scettica – non sono per fare norme belle che poi non portano posti reali. Piuttosto mi accontento di una legge un po’ meno buona esteticamente, ma che aumenta le assunzioni. E siccome non ho nessuna teoria da difendere a priori, valuteremo con il monitoraggio tra un anno, e se avremo sbagliato, cambieremo».

Fiducia mal riposta sugli effetti, secondo Boeri, che prevede al contrario un peggioramento sul fronte della precarietà: «Se le assunzioni a termine oggi sono al 68%, come dice il ministro, io penso però a differenza sua che dopo la riforma questo dato non diminuirà: al contrario schizzerà fino al 90%. Dinamica opposta per le conversioni a tempo indeterminato: se oggi sono al 10%, credo che diminuiranno». Ma chissà se il governo e il Pd, questo monitoraggio, saranno mai davvero intenzionati a farlo.