Con la presentazione dei sub-emendamenti, scaduta ieri mattina alle 11, la corsa delle riforme di Matteo Renzi parte davvero, e se il Pd è diviso Forza Italia rischia una ben più clamorosa spaccatura. Che il clima non sia per nulla rasserenato, da quelle parti, lo si è capito ieri mattina, nell’assemblea dei senatori. Ordine di scuderia: onorare il patto del Nazareno. Risultato concreto: quattro interventi nella riunione di ieri mattina, tutti contro il senato non elettivo di Renzi. Il più secco Augusto Minzolini, ma non è che gli altri, fedelissimo Razzi incluso, ci siano andati più leggeri.

L’elenco dei dissenzienti si è fermato lì solo perché la riunione è stata aggiornata a martedì prossimo (ma potrebbe slittare a giovedì per impegni del Cavaliere e forse anche essere cancellata). Ma non sarà solo un’assemblea dei senatori. Il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, un altro falco anti-riforma, ha insistito e ottenuto una riunione congiunta dei gruppi parlamentari con la partecipazione straordinaria di Silvio Berlusconi. Dovrebbe essere quello il momento della verità. Non solo sulle riforme: quel tema, già vasto, nasconde un problema ancora più strutturale, quello della falsa opposizione che il capo e Denis Verdini hanno imposto al partito. Così se un senatore ammette senza remore che «non stiamo varando una riforma istituzionale ma un jackpot: chi vince prende Camera e Senato, dunque elegge il capo dello Stato e così decide anche sulla Corte costituzionale e sul Csm», un altro allarga lo spettro: «La verità è che supportiamo il governo più noi che l’Ncd. Non solo sulle riforme: anche nella politica economica».

La sofferta scelta sarà in agenda non prima di martedì. Peccato che le votazioni sugli emendamenti inizino invece lunedì pomeriggio che Fi debba dunque affrontarle senza uno straccio di orientamento. Tra il capo dei deputati Brunetta e la vicepresidente dei senatori Anna Maria Bernini ieri ci sono stati attimi di vera tensione. «Lunedì non dovete votare proprio niente», ha intimato il deputato. «Impossibile», ha replicato la senatrice. Conclusione: lunedì i forzisti cercheranno di allungare quanto più possibile il brodo, evitando di pronunciarsi almeno sui punti spinosi.
Decisione rinviata, dunque. Si trattasse di un altro partito, la questione sarebbe già definita. Due terzi dei senatori la pensano come i quattro che hanno parlato ieri mattina. Una ventina almeno su 59 sono decisi a portare la sfida fino in fondo, anche a costo di votare contro la riforma del Nazareno. Ma Forza Italia non è un partito come tutti: è una proprietà privata. Dunque, quasi certamente, passerà la linea del proprietario, a tutt’oggi convinto che «dal processo delle riforme noi non possiamo assolutamente stare fuori». Molti lo seguiranno. Ma molti, stavolta, probabilmente no.

Sul fronte opposto, ieri, una folta conferenza stampa ha presentato gli emendamenti firmati da un fronte trasversale che va dai dissidenti del Pd (Vannino Chiti e Felice Casson) a Sel (la capogruppo Loredana De Petris), agli ex grillini (Campanella), all’ex ministro Mauro. Qualcuno di loro fa parte della maggioranza, qualcuno è all’opposizione, ma sulla necessità di correggere la riforma con 15 emendamenti mirati concordano tutti.

I punti chiave sono anche qui la richiesta di un Senato elettivo, con senatori eletti da ogni regione in misura proporzionale alla popolazione della regione stessa, e quella di dimezzare o in subordine diminuire drasticamente anche il numero dei deputati. Poi l’eliminazione dell’immunità per tutti i parlamentari, oppure, se si rivelerà impossibile, l’introduzione di una regola per cui, in caso di voto parlamentare contrario alle autorizzazioni, la decisione finale verrebbe delegata alla Corte costituzionale.

Ma questo fronte trasversale, che conta 38 senatori, mette in discussione anche le funzioni del nuovo Senato. Benissimo che non voti la fiducia, nessuno vuole mantenere il bicameralismo perfetto. Ma ci sono questioni che non possono essere lasciate nelle mani di una Camera in cui, grazie al premio di maggioranza, un partito solo sarà padrone: i rapporti con la Chiesa e con tutte le confessioni. La libertà personale e di pensiero. Le garanzie giuridiche e la tutela della salute. I nodi delle incandidabilità o dei conflitti di interesse.

Ma se questi emendamenti non passassero, cosa farebbero i “ribelli” del Pd? Chiti la mette giù diplomatica. Bisognerà vedere cosa passa e cosa no. Comunque saranno scelte individuali. Non siamo mica una corrente! Casson è più esplicito: «Anche Renzi ha detto che in aula ciascuno vota secondo coscienza. E comunque lo garantiscono i regolamenti del Senato».