Il presidente eletto Donald Trump ha nuovamente affidato a Twitter un messaggio per rassicurare che la transizione e la formazione della nuova squadra di governo stanno avvenendo senza intoppi nonostante le voci parlino di «fase caotica». «É un processo molto organizzato quello che si svolge mentre decido il nome del capo di gabinetto e di molti altri – ha twittato Trump – E io sono l’unico a sapere chi sono i finalisti!»

Dopo il «simpatico» tweet Trump ha preso di mira il New York Times, reo di aver riferito come la transizione sia caratterizzata da licenziamenti e lotte intestine, e come gli alleati degli Stati uniti stiano avendo problemi a raggiungere telefonicamente Trump. Ma il quotidiano newyorchese non è una voce isolata, anche Cbs ha dichiarato che «due fonti vicine alla situazione hanno descritto un’atmosfera tesa fatta di coltellate alle spalle, con i politici leali a Trump che stanno facendo pressioni per ottenere incarichi chiave».

Tra gli epurati c’è Mike Rogers, ex congressman che ha presentato le proprie dimissioni dalla squadra di transizione di Trump, senza addurre particolari spiegazioni, dimissioni arrivate in concomitanza con quelle di Matthew Freedman, funzionario politico della Difesa e della Sicurezza nazionale, troppo vicino al partito e meno ai fedeli di Trump.

Un’altra emittente televisiva, Nbc News, è ancora più pesante e cita «una fonte interna a Washington» secondo la quale l’ex presidente della Commissione di Intelligence alla Camera, ex membro delle Forze Armate ed ex agente speciale dell’Fbi, Rogers, è stato vittima di una «purga staliniana» che ha coinvolto le persone vicine a Chris Christie. Christie, governatore del New Jersey, è stato prima rivale di Trump, poi suo fido consigliere ma ora, a causa di uno scandalo politico in cui è coinvolto, è caduto in disgrazia, così tutti i membri della squadra che erano stati scelti da lui sono stati allontanati e lui stesso è stato sostituito da Mike Pence come presidente della commissione per la transizione presidenziale. Per riparare il suo nome è ora tra i candidati a sostituire Loretta Lynch come procuratore generale. Per questa carica si fa anche il nome di Pam Bondi, procuratore della Florida, che, a seguito di un «dono improrio» di 25mila dollari da parte della fondazione Trump, aveva deciso di non indagare più sulle accuse di frode a carico della fondazione Trump, come stava valutando di fare.

A sostituire Kerry come segretario di Stato il nome più quotato è quello dell’ex sindaco «tolleranza zero» di New York, Rudy Giuliani, super fedele e consigliere di Trump. Per la difesa si parla dell’ex direttore della Defense Intelligence Agency, Flynn, il quale però avrebbe bisogno di un permesso del Congresso per aggirare una legge che richiede per un segretario alla difesa di essere fuori dal servizio militare attivo da sette anni, prima di prendere il comando del Pentagono.

Altro nome per questo posto è quello di Tom Cotton, 39enne senatore dell’Arkansas, veterano e sostenitore delle guerre in Afghanistan e in Iraq. Come ministro per la salute si defila di sua sponte il neurochirurgo creazionista Ben Carson che, dopo aver corso per la presidenza, ora afferma che – non avendo esperienza politica – non si sente adeguato a un incarico politico. Alla sicurezza nazionale un candidato è lo sceriffo dell’Arizona, Joe Arpajo, accusato di oltraggio al tribunale per essersi rifiutato di sottostare all’ordine del giudice di interrompere la detenzione di persone arrestate per il solo sospetto di essere immigrati illegali.

Al momento gli unici nomi certi sono quello poco rassicurante di Bannon, capo della campagna elettorale di Trump, scelto come chief strategist della Casa bianca, e quello del 44enne Reince Preibus come capo di gabinetto Preibus in questo gioco di scambi di favori e colpi ai cerchi e alle botti, è una chiara concessione al partito, in quanto moderato e «solo» conservatore.
Mentre dentro la Trump Tower prosegue la più caotica delle formazioni delle squadre di potere, fuori, in tutti gli Stati uniti, non si fermano le manifestazioni dei cittadini e le reazioni istituzionali come quella dei corpi di polizia di Los Angeles e Denver i quali hanno dichiarato che si rifiuteranno di operare i rastrellamenti richiesti per espellere gli immigrati illegali.