Lavoro

Il nuovo “Poletti” è un maxi bidone

Il nuovo “Poletti” è un maxi bidoneIl ministro del Lavoro Giuliano Poletti

Il decreto lavoro Limitate a 5 le proroghe, ma si moltiplicano all’infinito i rinnovi. Il giurista Alleva: ecco tutti i rischi della legge passata alla Camera

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 25 aprile 2014

Passato ieri con la fiducia, l’Ncd ha ancora il coraggio di lamentarsi: la strategia elettorale è ovviamente far credere che il Decreto Poletti sia stato «irrigidito» dagli ordini del Pd, o meglio ancora dalla sua sinistra. Con i democratici e lo stesso ministro Poletti che dall’altro lato plaudono a una presunta «resistenza» su un testo che rappresenterebbe «un buon compromesso». In realtà la legge passata ieri alla Camera – e ora in attesa dell’ok del Senato – è un maxi bidone precarizzante, e questa formula non è solo uno slogan. Ce lo spiega, tecnicamente, Nanni Alleva, giuslavorista che ha lavorato per anni con la Cgil e la Fiom.

Il punto più controverso riguarda la distinzione tra proroghe e rinnovi. Lì sta la fregatura, no?

Devo premettere che verso la legge Poletti resta da parte mia una critica di fondo: la acausalità dei contratti a termine per 3 anni lascia il lavoratore senza più alcuno strumento di difesa, in piena balia dell’impresa, che dopo averlo sfruttato può mandarlo via poco prima della scadenza dei 36 mesi, per non doverlo assumere a tempo indeterminato. Un vero tabù per tutto il Pd, che non ha voluto discutere questo difetto di base, accettando il principio.

Nodo che però, dicevamo, si è voluto sciogliere appunto riducendo le proroghe. Da 8 a 5.

La pantomima sulle proroghe non sana quel problema di fondo, tanto più adesso, con il nuovo testo passato alla Camera. La legge è stata corretta con l’aggiunta di un inciso, che rende irrilevante il numero delle proroghe – come ammette il relatore Carlo Dell’Aringa in un’intervista su Repubblica – perché tanto dà la stura a un numero infinito di rinnovi. Ecco la frase: «Il numero delle proroghe non può essere superiore a cinque, indipendentemente dal numero dei rinnovi». E il bello è che nello stesso Pd pare non si sia compresa la gravità di questo passaggio. Praticamente stai autorizzando le imprese a rinnovare il contratto tutte le volte che vuoi nell’arco dei 36 mesi: ipoteticamente puoi farne anche uno a settimana, l’importante è che il singolo contratto non sia prorogato più di 5 volte, prima di passare a un altro rinnovo.

Un vero mostro. Ma cioè, il Pd ci vede pure una conquista?

Dall’Ncd – e a mio parere giustamente – interpretano quell’«indipendentemente» come la possibilità di rinnovare all’infinito. Mentre dal Pd mi dicono che va interpretato altrimenti: ovvero che tra proroghe e rinnovi si può arrivare a massimo cinque. Va bene che l’ambiguità proroghe/rinnovi c’era anche nel «Poletti» originale, ma qui la correzione mi pare iper peggiorativa. Io credo che per fugare ogni rischio andrebbe scritto così: «Il numero complessivo delle proroghe e dei rinnovi non può essere superiore a cinque».

Ci sono peggioramenti anche sulla soglia massima del 20%.

Sì. Il «Poletti» originale aveva un’unica cosa buona: il fatto che metteva fine, in pratica, alla «tratta» autorizzata del lavoro interinale. Visto che ne vanificava l’utilizzo. Ma la lobbying delle agenzie ha fatto breccia. Nella nuova formulazione passata alla Camera, il lavoro in somministrazione non viene più conteggiato nella soglia massima del 20% consentita. Inoltre, si è cancellata la previsione della legge 30 che dava la possibilità ai contratti nazionali di fissare altre soglie. Così stai dicendo all’impresa che una volta superato il 20%, può fare tutti i contratti a termine che vuole, senza limite, basta che siano somministrati. Io dico: stabiliamo una percentuale complessiva per contratti a termine e in somministrazione, come ha fatto ad esempio il contratto del commercio, che ha fissato un «super tetto» al 28%.

Tra l’altro adesso il ministro Poletti mi pare proponga che superato il limite del 20%, non scatti più la trasformazione in tempo indeterminato, ma solo un risarcimento.

Sì, sembra dia per certa questa correzione al Senato. Un altro regalo alle imprese: chi farà causa per 4 o anche 10 mensilità di stipendio? Inoltre io avevo proposto l’anagrafe pubblica delle assunzioni, rendere cioè accessibili i dati depositati nei centri per l’impiego. Così puoi sapere se l’impresa supera le soglie. Alle Poste, dove una legge già permetteva l’accesso a questi dati, migliaia di lavoratori hanno fatto causa per il superamento della soglia, e hanno vinto altrettanti tempi indeterminati.

Il nuovo testo, però, almeno riconosce il diritto di precedenza.

Bene, ma non basta. Il diritto non è automatico, né rivendicabile ex post: il lavoratore deve farne esplicita richiesta, e cioè esporsi. E l’impresa, se vede che sei interessato a ritornare al tuo posto e non ti ci vuole più, può cambiarne il profilo: e così può non riconoscerti il diritto.

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