Il nuovo corso del Pd romano parte dal Settimo Ponte del Laurentino 38, periferia per eccellenza della Capitale e al contempo simbolo ante litteram del malaffare romano. È in questo municipio – oggi il IX – tanto per fare un esempio, che la procura cominciò a scoperchiare il vaso di pandora delle tangenti, indagando sulla fornitura, nel 2009, di 45 filobus del cosiddetto corridoio Laurentino, e rinviando a giudizio Riccardo Mancini, ex Ad dell’ente Eur e fedelissimo di Gianni Alemanno che oggi conosciamo meglio come uno dei gangli del “Mondo di mezzo”.

Riparte da qui, dunque, il Pd. E da una sedia usata come palco, nel mezzo del cortile del centro culturale “Elsa Morante”, dove il commissario inviato da Renzi per risanare il partito sconquassato dalle correnti, Matteo Orfini, il sindaco Ignazio Marino e il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, salgono tra gli altri per prendere la parola davanti a centinaia di persone. Troppo piccola la sala da duecento posti, per contenere tutti gli iscritti e i simpatizzanti che, a dispetto dell’orario pomeridiano e del giorno feriale, non hanno voluto perdere «questo momento storico». Così l’assemblea si trasferisce all’aperto, dopo le proteste: «Ma cosa vi aspettavate, che la questione morale non interessasse ai cittadini?».

Ed è in questa periferia, dove sono stati girati numerosi film come Il minestrone (1981) di Sergio Citti, storia di accattoni e di miserie, che il Pd vuole portare la faccia pulita, «quella di chi ha invitato e applaudito caldamente Giuseppe Pignatone durante la conferenza programmatica», prima della bomba “mafia capitale”. «Questa mattina ho incontrato Pignatone (per consegnargli alcuni atti su cui c’è il massimo riserbo, ndr) e la prima cosa che ho detto al procuratore è grazie, grazie, grazie»: è Ignazio Marino che ci mette la faccia. Il sindaco «scelto per voltare pagina dalla forza popolare che ora giustamente si rimobilita», come afferma Nicola Zingaretti che per la prima volta deve lasciare il podio dell’applausometro al «marziano».

Per il governatore, invece, arrivano anche i fischi, sia pure da parte di un comitato – il «No corridoio», contrari al progetto ventennale di autostrada Roma-Latina – totalmente estraneo alla cultura di centrosinistra (anche se poi un portavoce viene invitato a parlare dalla sedia-palco).

Ma tant’è: è la periferia, bellezza. E non è un pranzo di gala. In questa, in particolare, per anni la destra ha fatto il pieno di voti ma poi ha eletto Marino con il 62% delle preferenze e oggi ospita sette circoli del Pd. Che tra i cento di Roma non sono certo i peggiori, come quelli inattivi per tutto l’anno, che si gonfiano prima dei congressi e che sono nelle mani dei «signori delle tessere». Quelli che Matteo Orfini dovrà rivoltare come calzini, controllando tessere e spese. «Il Pd di Roma in questi anni è stata un’infinita guerra tra bande che si organizzavano non sulla politica ma sulla lotta di potere – dice il commissario dem –- prendendo in ostaggio militanti ed elettori che invece mettevano la propria passione. Dobbiamo estirpare questa cancrena». Per farlo, per «valutare uno per uno la capacità d’iniziativa politica dei circoli», per costruirne una mappatura e per «aiutarli a capire come si ricostruisce un partito», Orfini ha chiesto e ottenuto l’aiuto dell’ex ministro Fabrizio Barca. Insieme dovranno, come chiedono in tanti, al Settimo Ponte, «ridare dignità e forza alla tessera, che non è un abbonamento a un servizio ma la prova dell’esistenza di una comunità, di un rapporto personale tra l’iscritto e il circolo».

Eppure per togliere acqua al “Mondo di mezzo” non bastano «soluzioni organizzative» volte a risanare il Pd, come dice ZIngaretti. E non basteranno neppure gli inasprimenti di pena per i corrotti, annunciati da Renzi, che dovrebbero essere approvati nel consiglio dei ministri spostato nel frattempo a venerdì. «Se vogliamo evitare la malavita – afferma Orfini – dobbiamo affrontare l’enorme questione sociale emersa in questo Paese, come il tema della Casa». E «formare i consiglieri comunali al contrasto della corruzione e della mafia». Una sorta di «Frattocchie dell’anticorruzione», la chiama Orfini.

Alla scuola di Marino, che senza corsi aveva già sentito puzza di bruciato e che ora incassa: «Questa amministrazione – rivendica il sindaco – ha improntato il suo lavoro sulla trasparenza e quindi accolgo con favore le verifiche fatte oggi dall’Autorità presieduta da Raffaele Cantone ad Ama. Una collaborazione necessaria in momenti difficili come questo e, al contempo, naturale per chi ha a cuore la trasparenza e il rispetto per i cittadini. È lo stesso principio che ho applicato quando ho chiamato gli ispettori del Mef per certificare il buco di bilancio, e mi pare che la realtà oggi dica che avevo ragione».