«Faccio un invito agli esponenti della maggioranza: non serve a nulla negare l’evidenza, ma non si torni su questo punto altrimenti dovremo tornarci anche noi». Quello di Andrea Orlando, all’indomani della waterloo della sua corrente, più che un avviso a Renzi ormai suona come una supplica. Da Roma, a margine di un convegno sul carcere, per il dopo voto respinge scenari da scissione: «Io preferirei che il 5 marzo il Pd fosse unito intorno a Renzi con una buona affermazione, e in questo senso mi impegnerò». Anche Michele Emiliano, che pure ha notoriamente tutt’altro temperamento, sbollita la rabbia torna nei ranghi e annuncia: «Combattiamo nel Pd».

DEL RESTO, NON POTREBBE essere diversamente. La corrente Dems di Orlando è passata da oltre 100 a 15 eletti, fra camera e senato; quella di Emiliano da una decina di uomini è scesa a tre. Con questi numeri, comunque vada, non c’è scissione all’orizzonte: semmai qualche abbandono personale. In casa Orlando poi le polemiche sono forti, non solo contro Renzi ma anche contro la gestione disastrosa del tavolo delle candidature, con lo stesso capofila che scopre solo all’ultimo la sua stessa collocazione in lista. E l’esclusione persino degli uomini che portavano avanti la trattativa, come Andrea Martella, coordinatore dell’area. «Un’umiliazione», è la parola che circola nelle chat dei parlamentari.

RENZI IN EFFETTI non vede l’ora di buttarsi le (ormai inutili, è, vero) polemiche alle spalle. Portato a casa un risultato senza precedenti (liste di nomi scelti da lui per oltre l’80 per cento) invita a chiuderla qua: «Un po’ di ricambio non fa male ai dirigenti del Pd suggerirei: basta polemiche, basta parlarsi addosso. Tutte le volte in cui ci sono le elezioni ci sono gli esclusi che, in modo del tutto comprensibile, esprimono la propria rabbia per l’esclusione, ma non è questo il problema dell’Italia. Un po’ di ricambio fa bene», taglia corto.

DEL RESTO LA STAGIONE delle critiche a Renzi dentro il Pd è finita per estinzione dei ’critici’. Da Parigi Enrico Letta esprime il suo siderale dissenso (la vicenda delle liste è «un tragico errore, una corsa verso l’abisso» dice in un colloquio con La Stampa), e così Romano Prodi, che definisce il Rosatellum «una sciagura umana» fatta «per avere una impasse di governo, non un governo che funzioni». Più che un’impasse, le larghe intese. Se il Pd renziano le smentisce, la radicale Emma Bonino ammette con consueta franchezza che l’ipotesi c’è: e lei verso Berlusconi non ha preclusioni, «ci ho già governato», al netto dell’alleato leghista Salvini («Trovo le sue posizioni molto pericolose per il paese»).

NEL PD CI SONO MOLTE CODE di malumore, vere o presunte: come quello del ministro Marco Minniti che da astro nascente già in calo non piazza in lista neanche il suo sodale Nicola Latorre (i due sono ex lothar dalemiani dalle carriere parallele che nell’ultimo tratto avevano subìto la stessa torsione renziana, evidentemente non con gli stessi esiti).

C’è invece la preoccupazione reale delle sfide impossibili che le liste impongono ai territori. Emblematica quella bolognese, al senato Pier Ferdinando Casini da una parte e Vasco Errani dall’altra: con le insegne del Pd e del centrosinistra il primo, benché ex dc e Udc, e quelle di Liberi e uguali il secondo, benché ex Pci e fondatore del Pd. Il ministro Galletti, ex Udc ma soprattutto ex assessore della giunta Guazzaloca (l’unica di centrodestra nella storia di Bologna dal dopoguerra), non rinuncia a cantare vittoria: «Io il mal di pancia lo vedo molto sui giornali e poco tra la gente. È chiaro che quando si fa un’alleanza ci sono i candidati che rappresentano quell’alleanza e anche a Bologna è così come in altre zone».

A LIBERI E UGUALI non resta che presentarsi come l’alternativa di sinistra e puntare i riflettori al massimo sull’epurazione finale degli ex Pci-Pds-Ds dal Pd: «Qui è chiaro che la scelta delle liste fatta dal Pd segna una cesura profonda con quella che è la tradizione di sinistra di governo di questo territori», tuona Maria Cecilia Guerra (Mdp), modenese candidata nei collegi emiliani. «Una cesura perfino violenta, a questo qualcuno dovrà dare una risposta». Leu deve recuperare «la tradizione della sinistra e riportarla nel 21esimo secolo»