Max Stefani, già direttore del Mucchio Selvaggio, una volta mi disse che per parlare di musica rock bisogna essere giovani. Il critico agé tende eccessivamente a contestualizzare il nuovo album e/o il nuovo gruppo di cui sta parlando/scrivendo all’interno della storia della musica mentre ai suoi giovani ascoltatori non interessa nulla sapere se le soluzioni sonore che stanno ascoltando sono già state sperimentate 10/20/30… anni prima, ma semplicemente vuole che quella musica sia per loro significativa, senza badare a quanto vecchia risulti la sintassi musicale adoperata.

Probabilmente in parte si tratta di una massima valida anche per il mondo videoludico, e lo si può constatare con l’ultimo episodio della saga di giochi di corse di Electronic Arts: Need For Speed. La responsabilità dello sviluppo passa da Criterion, che aveva portato le impostazioni del successo ottenuto con Burnout nella serie concorrente, a Ghost Games – uno sviluppatore interno ad EA, comunque composto per gran parte da personale fuoriuscito da Criterion – e l’intenzione è quella di effettuare un reboot della serie tagliando significativamente i ponti con la direzione impressa da Criterion negli ultimi titoli. Pertanto non è solo la presenza del dialogo giovanilistico e di commenti a fine gara come «Bella zio, ti è rimasto attaccato solo un lampione!» (più o meno, vado a memoria e per la traduzione devo ricorrere a un consulente esterno) ma l’assenza di tutto quanto potevamo trovare in un titolo Criterion (e che ci piaceva) a spiazzare critici e giocatori più esperti.

Ma non è detto che tale assenza sia in assoluto un difetto: semplicemente il nuovo Need For Speed ha un’impostazione di gameplay completamente diversa rispetto a Hot Pursuit o a Most Wanted. Potremmo riassumere l’evoluzione con una sorta d’equazione: il Need For Speed di Criterion sta a quello di Ghost come un gran numero di auto con una relativamente bassa personalizzazione disponibile e lo stile di guida finalizzato alla distruzione (preferibilmente degli avversari) stanno ad un numero ridotto di auto con un’elevata personalizzazione («tuning») disponibile e ad uno stile di guida sempre finalizzato alla corsa. Il primo impatto reale di un fan dei giochi Criterion col nuovo Need For Speed è quando tenta di speronare un’avversario per mandarlo fuori strada con l’unico risultato di rallentare per l’impatto e vedersi sorpassare dall’avversario speronato.

Nel mondo Criterion una delle parti più divertenti era la distruzione degli avversari e c’erano sfide dedicate esclusivamente a tale attività con tanto di distruzione scenografica nostra e/o dei nostri avversari. Ora invece dobbiamo preoccuparci di correre, di aumentare la nostra reputazione andando più veloci, drftando meglio, sfuggendo di più alla polizia degli altri cinque personaggi che il gioco ci presenta: campioni delle corse clandestine (filmati «dal vero» a far riandare la mente dei giocatori più attempati alle cut-scenes di giochi come Wing Commander) che, in una Ventura Bay ispirata ad una Los Angeles perennemente notturna, ci sfidano, c’invitano a bere con loro, scherzano e flirtano con noi (in prima persona nelle cut-scenes).

Non è che tutto ciò sia negativo ed anzi i nuovi giocatori (ma per certi versi anche quelli più vecchi legati al Need For Speed-pre Criterion) troveranno tanto pane per i loro denti con sfide sempre nuove in una metropoli resa splendidamente dal punto di vista grafico, mentre invece i fan dell’epoca Criterion faranno meglio a cercare altrove.