Siedono vicini e dalle cuffie ascoltano la traduzione in arabo dei discorsi di apertura del seminario sul premio Sakharov. Ahmed e Zolikha sono i genitori di Nasser Zefzafi e sono a Strasburgo a suo nome: il finalista del premio del parlamento europeo per la libertà di espressione sta scontando vent’anni in una prigione marocchina di massima sicurezza, a Casablanca.

«Nasser è in carcere dal maggio 2017 – racconta Ahmed una volta sul palco – Sono arrivati un giorno a casa a prenderlo, un enorme dispiegamento di forze. Come si può pensare a una simile operazione per arrestare un civile?». Le proteste di cui parla sono quelle iniziate a ottobre 2016 nella regione marocchina del Rif, da sempre tanto ribelle quanto marginalizzata.

È qui che nei primi decenni del secolo scorso, Mohammed bin Abdelkarim al-Qattani, «il leone del Rif», lanciò la resistenza armata contro la colonizzazione spagnola e francese. Fino a dichiarare la nascita della Repubblica libera del Rif, nel 1921. Resisterà fino al 1926 quando il potere militare dei colonizzatori piegò i rifiani.

Quella resistenza scorre da generazioni nel sangue della famiglia Zefzafi: «Mio nonno era il ministro degli interni nella Repubblica del Rif, sotto Abdelkarim – ci racconta Ahmed Zefzafi dopo la premiazione – e mio padre e mio zio erano parte del suo entourage, al Cairo». La moglie lo segue con gli occhi. Sembrano molto orgogliosi del figlio, simbolo della storia del Rif: una vita da attivista, a sinistra, disoccupato da anni in una zona dove Rabat non investe se non in «sicurezza» e repressione.

Un uomo povero, che non ha terminato gli studi, «ma ricco dentro, una persona capace di mobilitare gli altri: con un telefonino ha portato in strada centinaia di migliaia di persone dopo la morte di Mouhcine Fikri». Mouhcine era un venditore ambulante di pesce ad Hoceima, ucciso nell’ottobre di due anni fa da un camion della spazzatura: tentava di recuperare il pesce che la polizia gli aveva confiscato e gettato via. Un altro simbolo dell’oppressione del governo centrale in una regione a maggioranza berbera, dove si vive di pesca e coltivazione di hashish.

È nato un movimento popolare, Hirak, e Nasser ne è presto diventato il leader. Fino all’arresto, nel maggio 2017 con l’accusa di aver messo in pericolo la sicurezza dello Stato e di aver offeso il re. Con lui sono stati condannati altri 53 attivisti, per un totale di 260 anni di prigione. «Nemmeno sotto Francisco Franco», commentò all’epoca della sentenza, a fine giugno, il padre Ahmed.

I genitori di Nasser Zefzafi, Ahmed e Zolikha all’Europarlamento

 

«Con l’arresto – continua – la protesta non si è fermata. Solo in questi ultimi mesi si è attutita per la militarizzazione della zona, al-Hoceima è completamente circondata dalle forze di sicurezza». Gli chiediamo della vita in prigione del figlio: «Si trova nel carcere di massima sicurezza di Casablanca, a 620 km da Hoceima. Lo vediamo tutti i mercoledì, per due ore. All’inizio è stato torturato, fisicamente e psicologicamente. Ora sta bene e il morale è alto, anche se soffre molto: è detenuto in una piccola cella, in pessime condizioni».

Il morale è alto, dice Ahmed, perché è nel giusto. Perché si batte contro le ingiustizie e la diseguaglianza, hogra, come dicono nel Rif: «Non sorprende la nascita di un movimento popolare come Hirak nel Rif perché dal 1956, da quando è stata annessa al regno del Marocco, è una regione totalmente marginalizzata, militarizzata. La morte di Fikri è stato un punto di svolta per l’esplosione spontanea della rivolta. Nasser ha iniziato a discutere con le autorità locali e in modo naturale è diventato leader della protesta, di un movimento destinato a vivere».

Ahmed e Zolikha si guardano intorno. Strano ritrovarsi qui, nel cuore delle istituzioni europee per un premio dal valore fortemente politico. Eppure l’Europa che chiede il rilascio di Nasser è la stessa che tratta con Rabat per farne un altro partner contro i flussi migratori africani. Esternalizzazione delle frontiere che in Marocco vedrebbe il Rif di nuovo al centro: è da qui che tentano il viaggio verso la Spagna migliaia di subsahariani.

Una contraddizione? «Da nessuna parte esiste una democrazia perfetta – ci dice Ahmed Zefzafi – La libertà assoluta non esiste in nessun paese del mondo. Ma esistono gli interessi e la Ue ha interessi in Marocco. Nonostante ciò Nasser è uno dei finalisti del premio Sakharov. C’è una differenza tra il vincitore, Oleg Sentsov, e Nasser: mio figlio ha lanciato una protesta enorme con pochissimi mezzi, ha mobilitato 200mila donne e 300mila uomini in cinque minuti, usando un telefono. Ha costruito un movimento popolare, Hirak, che è forte e presente nonostante la militarizzazione. Credo che sia questo risultato, che è politico, a essere arrivato in finale».