Chi intraprende il suo viaggio all’interno di un labirinto si affida al libero arbitrio, alle presenze inaspettate e alla negromanzia. Nessun inizio né fine, ma una serie di incroci in cui esercitare l’abbandono del controllo. «Intollerabilmente sognai un esiguo e nitido labirinto: al centro c’era un’anfora; le mie mani quasi la toccavano, i miei occhi la vedevano, ma le giravolte erano tanto intricate e incerte che io sapevo che sarei morto prima di raggiungerla», scrive Borges ne L’immortale. C’è anche lui, con quell’esplorazione insistita sulla fragilità dell’idea di transito, fra i numi tutelari – l’altro, quello esplicito, è Calvino – del nitido padiglione italiano di Milovan Farronato, dal titolo Né altra né questa. Oltretutto, in Laguna c’è un dedalo verde e sinuoso dello scrittore argentino: è quello ricostruito in suo onore dall’architetto inglese Randoll Coate alla Fondazione Cini, ispirato a Il giardino dei sentieri che si biforcano.

IN FONDO, quella figura dell’immaginario e del mito è anche l’incarnazione cartografica di Venezia, groviglio di vicoli dove perdersi è l’unica giusta prospettiva per tornare a orientarsi. Ma il padiglione del curatore allo smarrimento sostituisce la fluidità del cammino, costellandolo di opere – di Enrico David, Liliana Moro e Chiara Fumai – che non intralciano il tempo senza sosta in cui ci si aggira tra i meandri. Unica tappa – prima di reinventarsi i propri passi – è quella davanti la collezione in piccole teche di oggetti quotidiani e modellini di lavori dei tre artisti invitati. Dialoga, quel piccolo museo senza cronologia se non affettiva, con l’archiviazione del presente di cui si notava l’urgenza anche nella mostra di Rugoff.

E SE LA MORTE prematura di Chiara Fumai quel dialogo l’ha spezzato, Farronato lo riprende dove era stato lasciato, intrecciando un filo di amicizia e pensiero condiviso, raccontando la geografia sentimentale di una comunità artistica. Lei era una sismografa delle parole, anche di quelle non dette, emotive, magiche. Così, mentre David punteggia il sentiero tortuoso con uomini e donne extraterrestri, veri e propri incontri con l’«altrove» umano, Moro ci permette di cambiare status con La spada nella roccia e offre – al di là delle pareti indistinte del labirinto – la meravigliosa colonna sonora di Bella ciao. Che ultimamente andrebbe cantata pure per strada e nelle piazze, tutti i giorni.