È sotto la minaccia di nuovi e pericolosi attacchi da parte degli Stati uniti, che mercoledì è stata proclamata la nuova Costituzione cubana. Lo ha detto chiaramente Raúl Castro, che come presidente aveva dato inizio otto anni fa al ciclo di riforme che hanno portato a varare una nuova Carta fondamentale in linea «con i nuovi tempi».

In qualità di primo segretario del Pc è toccato a lui il discorso di proclamazione di fronte a una sessione straordinaria dell’Assemblea nazionale del Poder popular (il Parlamento unicamerale). L’ex presidente ha messo in luce come la nuova Costituzione «rappresenta la continuità dei valori su cui si basa la nazione, l’eguaglianza e l’indipendenza».

UNA CONTINUITÀ che fa riferimento a un lungo tragitto di lotte dell’isola, iniziato nel XIX secolo contro il colonialismo spagnolo e proseguito nel secolo scorso contro l’imperialismo degli Stati uniti, che da più di sessant’anni tentano di abbattere il «primo territorio libero e socialista» dell’America latina. È la continuità di una lotta che si basa su un forte sentimento di difesa della sovranità nazionale, ma anche su un progetto sociale e politico di indipendenza, giustizia e libertà per tutto il subcontinente latinoamericano –la «Patria grande» di José Martí e Simón Bolivar- che oggi va difeso dalla rinnovata aggressività dell’Amministrazione Trump, decisa a imporre l’ottocentesca «dottrina Monroe».

Ovvero di riportare l’America latina al ruolo di «patio trasero», del cortile di casa governato a immagine degli Stati uniti. La nuova Carta magna cubana fornisce un quadro normativo per continuare il ciclo di riforme socio economiche che hanno come scopo lo ha ripetuto Raúl Castro – di consolidare nell’isola un «socialismo prospero e sostenibile». Ma, come sostenne lo scrittore uruguagio Eduardo Galeano, la Cuba socialista è un paese soggetto da sessant’anni a una guerra economico-finanziaria e commerciale spietata da parte della nazione più potente e dunque costretta a mantenere alta la guardia e a privilegiare sotto molti aspetti la difesa della propria sopravvivenza. La Costituzione proclamata mercoledì risente di questa situazione.

CON NUOVE APERTURE all’iniziativa privata, agli investimenti esteri e alla società civile mantiene una struttura di paese in guerra: la preminenza del partito unico, il partito comunista come «rappresentante di tutto il popolo», il controllo dei mass media, un’economia fortemente diretta e centralizzata. Ma, come ha affermato l’ex presidente, tocca dunque alla «nuova generazione» – oggi rappresentata dal presidente Miguel Díaz- Canel- che progressivamente guiderà il paese nei prossimi anni varare le leggi interpretative.

Dunque privilegiare gli aspetti di riforma o di conservazione della Carta Magna. I primi, urgenti, passi –delineati da Raúl Castro- riguardano la nuova legge elettorale per il rinnovamento del vertice politico –con la separazione delle funzioni del nuovo presidente della Repubblica dalle cariche esecutive, Consiglio di Stato e premier- e lo sviluppo e la diversificazione dell’economia per far fronte alla crisi economica che da due anni investe l’isola. «Dobbiamo raddoppiare gli sforzi per incrementare la produzione nazionale, specie di prodotti alimentari…ridurre le spese e elevare l’efficienza del settore energetico, specialmente dell’uso dei combustibili», ha affermato l’ex presidente.

IL RIFERIMENTO ALLE SANZIONI decise dall’Amministrazione Trump contro 34 navi della compagnia petrolifera statale venezuelana Pdvsa e due di altre compagnie che trasportano greggio venezuelano a Cuba è evidente. «Prendiamo due piccioni con una fava» era stato il commento del senatore repubblicano (di origine cuabana) Marco Rubio su tale decisione. In sostanza i falchi Usa vogliono tagliare la vena giugulare del rifornimento di greggio a Cuba e colpire ulteriormente l’economia del governo bolivariano di Caracas. «È necessario rimanere allertati, coscienti che la situazione potrebbe aggravarsi nei prossimi mesi», ha avvertito Raúl Castro.

IL VERTICE POLITICO cubano è consapevole che la strategia aggressiva del presidente nordamericano è destinata a continuare. Come ha sottolineato il New York Times «la campagna presidenziale di Trump è già iniziata in America latina». Il presidente Usa è deciso a mantenere una situazione di conflitto – una supposta «minaccia alla sicurezza nazionale» – ai confini sud degli Usa come uno degli elementi su cui impostare le presidenziali dell’anno prossimo.

Lo spauracchio di «un’invasione» di migranti e di droga e la guerra al socialismo, in Venezuela e a Cuba soprattutto, sono i due pilastri di tale campagna. Due falchi dell’amministrazione Usa erano all’opera mentre Raúl Castro lanciava l’allarme che gia inquieta i cubani. Elliott Abrams –inviato Usa per il Venezuela- a Lisbona e a Madrid e il segretario di Stato, Mike Pompeo, pronto a chiamare a raccolta i governi di destra latinoamericani per la «spallata finale» contro Cuba e Venezuela. Il primo è incaricato di vendere la narrazione di un «intervento militare russo e cubano in Venezuela» al quale l’Europa deve opporsi appoggiando «nuove sanzioni che gli Usa stanno per varare contro Caracas e l’Avana».

Il secondo ha già ottenuto un importante risultato ancor prima di incontrarsi -tra oggi e domenica- con i più attivi leader alleati-sudditi per concordare ulteriori attacchi al Venezuela. Il presidente ecuadoriano Lenín Moreno ha consolidato il suo passaggio armi e bagagli al club delle destre (il nuovo organismo «Prosur» ribattezzato «ProTrump») consegnando Julian Assange agli Usa, via Londra.