La stanza è piccola e soleggiata, è una camera da letto. Appese alle pareti ci sono due foto che ritraggono un gatto e un cane, piccole bandierine color pastello decorano gli spazi.

È PIENA ESTATE a Santiago del Cile e al centro della stanza c’è una ragazza: si chiama Natalia Aravena, ha 26 anni ed è candidata all’assemblea che scriverà la nuova Costituzione del Paese.

La storia è già importante, una ragazza così giovane che vuole scrivere una Costituzione, ma c’è un particolare che la rende straordinaria: Natalia ha perso un occhio, è una degli oltre 460 manifestanti che le forze dell’ordine cilene hanno accecato durante le manifestazioni che da oltre un anno scuotono il Cile.

Il 18 ottobre 2019 alcuni studenti hanno iniziato a saltare i tornelli della metro per protestare contro l’aumento del costo del biglietto; in pochi giorni oltre un milione e mezzo di persone sono scese in piazza a manifestare per le enormi disuguaglianze sociali che affliggono il Paese chiedendo le dimissioni del presidente Sebastián Piñera.

Natalia Aravena

«Ero entusiasta che il popolo cileno scendesse finalmente in piazza – ricorda Natalia – da decenni sopportiamo ingiustizie enormi e finalmente l’aumento del costo del biglietto della metro è stata la cosiddetta goccia che ha fatto traboccare il vaso. Però ho iniziato subito ad avere paura per il comportamento delle forze dell’ordine».

Dai primi giorni le proteste sono state represse molto duramente, migliaia le denunce di cittadini che hanno dichiarato di essere stati pestati, violentati e torturati.

NATALIA VIVE a Peñalolen, uno dei quartieri della capitale cilena, e prima della campagna lavorava come infermiera in una clinica psichiatrica perché ha sempre sentito di voler aiutare le persone, soprattutto in momenti difficili e dolorosi delle loro vite.

Il 28 ottobre 2019 si è recata a una manifestazione che si teneva di fronte alla Moneda, il palazzo governativo del Paese. I cittadini stavano manifestando pacificamente quando si è unita alla protesta, verso le 17.

DOPO POCHI MINUTI però, «è arrivato un carro idrante e i carabineros hanno iniziato a disperdere le persone lanciando i lacrimogeni. Siamo stati costretti a retrocedere e a scappare», spiega la giovane. Natalia si è diretta in una strada più piccola convinta di essere al sicuro.

«Mi sono girata per controllare che non mi stessero seguendo, ma nell’esatto istante in cui mi sono voltata ho sentito l’impatto fortissimo di una bomba lacrimogena sul mio viso», ricorda.

Le ragioni per cui milioni di persone hanno manifestato contro il governo di Piñera sono diverse: disuguaglianza sociale, concentrazione estrema della ricchezza, corruzione, un sistema pensionistico del tutto inefficiente, privatizzazione della salute e scarsa qualità dell’educazione.

Nei giorni più intensi delle proteste, che continuano ancora oggi, si sono verificati incendi delle stazioni della metro e negozi distrutti. A più di un anno di distanza la Zona Zero a Santiago, dove si sono concentrati i disordini, è ancora devastata.

DOPO L’AGGRESSIONE Natalia ha perso l’occhio, si è dovuta sottoporre a tre operazioni e ha cambiato quattro protesi. Ha i capelli molto lunghi, neri e mossi che le ricadono sulle spalle. Li scosta spesso mentre parla e ha una risata genuina. Ha il viso olivastro, tratti dolci e importanti. I suoi occhi hanno un taglio a mandorla, sono marroni e molto grandi, sono la parte che più si nota del suo bel viso.

Ride quando spiega: «Non è stato facile trovare una protesi che fosse abbastanza grande per i miei occhi. Erano tutte troppo piccole e si notavano. È stato un lungo percorso».

OGGI RIESCE a parlare di ciò che le è successo e cerca di andare avanti, ma non è sempre stato così. «All’inizio ho cercato di essere razionale e convincermi che non fosse molto grave, ma poi ho dovuto scontrarmi con la realtà di avere 26 anni e di dover vivere il resto della mia vita con un solo occhio. Per molto tempo sono dovuta rimanere a letto e dopo ho avuto molte difficoltà a uscire di casa da sola, ero terrorizzata. Non riuscivo a versare l’acqua nel bicchiere, mi scontravo con i mobili quando camminavo. D’improvviso vedevo arrivare la bomba lacrimogena sulla mia faccia; rivivevo i colori, gli odori e le sensazioni di quel giorno. Ho dovuto smettere di lavorare. Poi ho iniziato un percorso psicologico specializzato in traumi e piano piano ho ripreso in mano la mia vita».

GRAZIE ALLE MASSIVE proteste iniziate nell’ottobre 2019, il 25 ottobre scorso si è tenuto un referendum sulla Costituzione cilena scritta ai tempi della dittatura di Pinochet: oltre il 78% dei votanti ha deciso di cancellarla per poterne scrivere una nuova. L’assemblea sarà composta da 155 membri eletti direttamente dai cittadini.

Tra i candidati spicca anche Natalia: «Da troppi anni il potere in Cile è nelle mani delle persone più ricche del Paese, penso che sia arrivato il momento per i cittadini comuni, per chi vive la realtà del Cile giorno dopo giorno, di avere un peso politico».

Il prossimo 11 aprile si terranno le elezioni e l’assemblea dovrà insediarsi e cominciare i lavori entro giugno 2021. Sarà garantita la parità di genere: il 50% dovrà essere composta da candidati donne. Mentre sono 17 i posti riservati alle comunità indigene cilene. «Io conosco perfettamente le ingiustizie che soffre la maggioranza dei cittadini – continua – e voglio lavorare per cambiarle nella nuova Costituzione».

Le proteste contro il governo di Sebastián Piñera continuano ancora oggi e sono cresciute di intensità negli ultimi mesi, soprattutto dopo l’anniversario dell’inizio dei disordini. Nel mese di dicembre si sono registrati tre nuovi casi di manifestanti accecati parzialmente durante le proteste che si tengono ogni venerdì in Plaza de la Dignidad a Santiago.

OGGI NATALIA è molto attiva nel sociale e fa parte dell’associazione delle vittime di trauma oculare e di organizzazioni femministe. Indossa una canotta rossa e sotto alla spalla destra ha tatuata la frase «Fight like a girl», lotta come una ragazza.

Si guarda intorno e racconta: «La mia vita è cambiata completamente da quando ho perso un occhio. Ho una prospettiva del tutto diversa: ciò che prima mi sembrava importante oggi non lo è più. Durante l’ultimo anno ho partecipato a riunioni con ministri e senatori. Ho sviluppato una forte coscienza politica».

Mentre parla Natalia prende in braccio il suo cane, nero e con una bandana rossa. «Si chiama Espi, diminutivo di “esperanza” – dice – È stato un anno duro, ma ho capito che la lotta mi fa bene perché è un modo per me di andare avanti, quello di pretendere giustizia. Ora ho la forza per poter continuare».