Il giorno dopo la turbolenta elezione di Cyril Ramaphosa alla guida dell’African national congress, gli stracci volano ma in modo trasversale.

Possibile che un voto di «rinnovamento» come quello che in prospettiva designa il 65enne sindacalista miliardario anche per la presidenza del paese, sia riuscito a mortificare la principale novità, da più parti vaticinata, che doveva portare la parità di genere ai vertici del partito? La componente femminile, la Anc’s Women League, non esita a parlare di «patriarcato che rialza la testa». A bruciare non è tanto la sconfitta di Nkosazana Dlamini-Zuma, prima donna candidata a guidare lo storico movimento di liberazione e il paese che questo governa da 23 anni, ma il nuovo assetto del top six, la squadra che occuperà i sei posti chiave del partito. L’unica donna, Jessie Duarte, è stata eletta tesoriere a scapito di un’altra donna. E neanche un nome di peso come quello dell’attuale ministra degli Esteri Maite Nkoana-Mashabane ce l’ha fatta contro il suo avversario maschio. Per contro, è un voto chiaramente “disgiunto” quello che ha portato nel gruppo dirigente ben tre esponenti della corrente sconfitta. Tutti uomini, però.

Il vincitore Ramaphosa si è detto «onorato» di diventare il 13mo presidente dell’Anc. Il primo a non appartenere alle due etnie maggioritarie, Zulu e Xhosa, ma alla minoranza Venda che rappresenta meno dell’1,3% della popolazione. Avrà forse per questo meno persone sull’uscio con il cappello in mano, ma non è detto.

«Onorato» si è detto anche il presidente uscente Jacob Zuma, che dopo aver dribblato diversi voti di sfiducia legati agli scandali in cui è invischiato ora punta a terminare sereno il suo secondo mandato presidenziale nel 2019. Nel giorno in cui tutti hanno avuto gioco facile nel dare il benservito al «peggior presidente» nella storia ultracentenaria dell’Anc, il Mail & Guardian, una delle testate più agguerrite nell’attaccare le sue politiche e nel ridicolizzare le sue posture (le scorticanti vignette di Zapiro sono diventate quasi una campagna a sé), ha dimostrato di non aver perso il senso della notizia ed è andato a scovare delle persone per le quali Zuma è e resta un eroe. Notizia nella notizia, non sono ricconi ma appartengono a una piccola comunità che Zuma ha tirato fuori dalle baracche. Una goccia nell’oceano degradante degli «insediamenti informali» che tormenta le città del Sudafrica.

Rispetto all’algido professor Thabo Mbeki, il ridanciano, intemperante e danzerino Jacob Zuma a volte dava quasi l’idea di essere cresciuto in uno di quegli shacks. Ora con Ramaphosa, il sindacalista supremo divenuto in pochi anni l’uomo d’affari nero più ricco del paese, si entra in una terza dimensione. Dopo tanta corruzione arriva giustamente la «lotta alla corruzione». Vedremo. Ma dopo tanta diseguaglianza, sulla base delle dottrine economiche che Ramaphosa sembra ansioso di implementare è difficile immaginare qualcosa di diverso.