Anna e Pietro fanno amicizia una sera di febbraio in un bar, dopo che lui ha appena seguito una lezione di yoga di cui lei era l’insegnante. Anna ha i capelli lunghi neri sempre legati in una coda, cosa che stuzzica Pietro perché gli fa salire la curiosità di sapere quanto ancora più bella diventi con i capelli sciolti. Anna pratica per lavoro yoga kundalini, ha trentasei anni e non ha mai convissuto con nessuno. Pietro ha trentanove anni, lavora come grafico in una rivista, è libero da poco dopo dieci anni di convivenza. Dalla prima notte non si lasciano più. Per un anno fanno l’amore senza protezione, senza pensare ai rischi. Ma i bambini non vengono. Fino al giorno in cui qualcuno non chiede perché non li fanno non ci hanno fatto nemmeno caso. Dopo diventa il chiodo costante. Pietro dice: facciamo dei controlli. Anna, più fatalista, fa resistenza. Ma di notte, ogni primo giorno della nuova mestruazione, piange in silenzio nella stanza da bagno. Pietro parla della cosa alla sua migliore amica che gli consiglia il nome di un esperto. Vanno. Anna ha le tube chiuse, non rimarrà mai incinta naturalmente. Mai. Una parola che solitamente nessuno ha il coraggio di pronunciare, in molti ambiti. Non rimarrò mai incinta, diventa l’orrido mantra della giovane donna.

Non riesce a pensare ad altro, soprattutto quando fanno l’amore. Pietro capisce che bisogna agire. Senza dirle nulla si informa su come si risolvono le questioni di infertilità. E la risposta è solo una: fecondazione assistita. Ne parla con Anna una notte che sono allegri, che hanno ballato fino alle tre a casa di amici, che sono sudati e puzzolenti e ubriachi e hanno una voglia pazza di strapparsi i vestiti di dosso. Lei ride già alla definizione: fecondazione assistita.

Ma non si diceva fare i bambini? Che cosa viene fecondato mentre qualcuno, dall’esterno, assiste? Insieme decidono di tentare la sorte, senza forzature, come una cosa naturale, anche se non lo è per niente. Non si fanno paranoie etiche, genetiche, religiose, minchiate che farebbero loro perdere l’obiettivo. Si buttano. A volte lei si domanda perché proprio a me. Ma poi Pietro fa una battuta o le fa il solletico o le accarezza il collo in un certo modo e tutto torna limpido e chiaro, preciso come la nota perfetta nell’armonia perfetta. La terapia ormonale produce scompensi umorali, risate e lacrime in un nano secondo.

Le punture sottocutanee sulla pancia gliele fa lui ogni sera, con una delicatezza inaspettata per quelle manone. Quando i follicoli sono cresciuti, con un intervento di sedazione profonda, vengono prelevati dalla pancia di Anna gli ovociti che vengono fecondati, sotto gli occhi di un biologo, dagli spermatozoi più fichi di Pietro. Divenuti embrioni vengono poi trasferiti nell’utero un bel giorno di fine maggio. Non ne hanno parlato con nessuno, nemmeno con i rispettivi genitori. È il loro segreto, che potrebbe diventare il più bello come il peggiore. Due settimane di attesa passano lentissime, tartarughe nel corso del tempo.

Il sei giugno vanno in ospedale a fare il prelievo del sangue. La dottoressa è un’amica, li prende in giro perché sono muti, come mai prima. Dice loro: andate a fare un giro, non vi stressate, prima di due-tre ore non avrò risposta. Pietro prende Anna sottobraccio: ci penso io. La porta nel bar dove si sono parlati per la prima volta. Le ordina un tè verde, antiossidante. Mentre stanno scherzando del più e del meno, squilla il telefono di Anna. Numero sconosciuto. Risponde con spocchia, temendo i call center. Cinquecentosedici! Anna non capisce: chi è? Le beta acca ci gi sono 516, sei incinta! Anna si squaglia sulla sedia, passa il cellulare a Pietro bisbigliando: sono incinta. Poi iniziano a ridere e non smettono per i successivi nove mesi. Una famiglia può nascere anche da un mai.

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