Jack non è proprio quello che si chiama uno studente modello. Svogliato, con un ritmo di apprendimento lento e per nulla eccellente, è un simpatico ragazzino, tranquillo ed educato, tendente spesso all’insufficienza. Il professore tenta la carta del dialogo con lui, gli tira fuori qualche promessa, aspetta, ma non giungerà nessuna conferma. L’insegnamente è deluso, fino a quando non scopre la verità: Jack ha una passione, di più, una vocazione che gli ruba tutto il suo tempo: fa sculture tridimensionali degli oggetti che colpiscono la sua immaginazione. Non sarà mai un asso in letteratura inglese, ma certo sarà un adulto sereno, soprattutto se continuerà a seguire la sua inclinazione. Ecco il dilemma: David McCullough Jr., autore del libro best seller Ragazzi, non siete speciali (Garzanti, pp. 242, euro 15), porta ad esempio questo adolescente imperscrutabile per dire una cosa ovvia, ma che da mesi fa molto scalpore: non tutti devono andare ad Harvard né sono accessoriati per essere degli studenti perfetti, obbligati a correre verso i college più prestigiosi. Qualcuno ha una originalità diversa, qualcun altro è un atleta nel sangue, altri ancora sono semplicemente normali teenager riluttanti all’impegno, persone in crescita difficoltosa che ripagano con quella particolare resistenza passiva le aspettative esorbitanti dei loro genitori e insegnanti. In realtà, la maggior parte degli alunni che compongono le classi americane – come quelle dell’intero pianeta – hanno una intelligenza media. Saranno adulti che probabilmente condurranno una vita «normale», senza conquistare né lo schermo della tv né nobel scientifici o letterari. Allora perché spingerli a performance stressanti, mortificare il divertimento e pianificare le loro giornate in modo strategico come coach? Camminare nell’esistenza da viziati, pungolati dal desiderio di successo dei propri padri e madri e dalla società competitiva, fa perdere di vista l’autenticità della vita stessa,uccide l’orgoglio e ottenebra i sensi. Alla fine, non vale la pena sacrificare la propria felicità a un voto sublime preso a scuola.
Non sono affermazioni assurde quelle di McCullough – docente a sua volta e padre di quattro figli, di cui una, la femmina, promettente calciatrice in erba. Segnalano semplicemente, con un po’ di buon senso, quelle piccole regole a cui si sono attenuti da sempre i nostri nonni e i nonni dei nostri nonni. Lo hanno fatto a volte per indifferenza, altre perché avevano troppi bambini intorno, comunque ha funzionato: non immischiarsi negli affari degli adolescenti, sorvegliarli a distanza e non assillarli, può essere una buona ricetta per andare avanti insieme. Eppure il suo discorso provocatorio, alla consegna dei diplomi, ha fatto il giro del mondo sui social network. Quel «ragazzi, non siete speciali», prima di lui, lo avevano pronunciato scrittrici come Edith Warthon, autori come Fitzgerald, poeti e pedagogisti visionari.