Nella discussione sui lavori della “Convenzione per la democrazia costituzionale”, alcuni commenti ospitati in queste pagine hanno dato un’interpretazione assai riduttiva e sostanzialmente sbagliata. La Convenzione, che si è andata formando nell’ambito delle iniziative del Teatro Valle, non vuole semplicemente dibattere intorno al lavoro dei “saggi” governativi (così Ugo Mattei), né tantomeno aspira a operare su «un fronte immediatamente politico, dove pensiero, cultura, progetto istituzionale, sguardo lungo peseranno molto poco e tutto si giocherà pensando al successivo giro elettorale» (così Luca Nivarra).

Con ben altra ambizione la Convenzione cercherà di caratterizzarsi in chiave propositiva e contro-egemone. Ci si propone cioè di far emergere le culture più sensibili alle ragioni della democrazia costituzionale le quali, per troppo tempo, sono apparse subalterne alle fluttuanti concezioni neocostituzionaliste dominanti. In un contesto difficile, dove gli spazi politici e culturali si vanno restringendo, non si può continuare ad arretrare, ma, se si vuole uscire dalle strettoie, bisogna mettere in campo la nostra visione del mondo. Altro che aspettare quel che fanno i “saggi” o pensare alle prossime elezioni.
È certo che la capacità propositiva si eserciterà anche in funzione critica, dunque vigileremo sulle procedure di rottura costituzionale e sulle proposte culturalmente regressive che dovessero essere formulate dal governo, dai partiti, da chiunque. Ma questo lo faremo in base ad una convinzione. È giunto il tempo per denunciare un’ideologia dominante che rischia di perdere il senso e il valore del costituzionalismo democratico moderno, che ha finito per mettere a rischio i diritti civili, sociali e politici delle persone, che subordina alla governabilità e alla teologia economica sia la forma di governo sia la forma di Stato, in sostanza pronta a sacrificare le ragioni stesse della nostra qualità di democrazia pluralista.

Il nostro orizzonte è dunque integralmente quello dettato dal costituzionalismo democratico, in una fase in cui si pensa da parte di molti che esso possa essere superato. Non è neppure un problema di riforme del testo della nostra Costituzione (una delle nostre prime proposte è l’introduzione in Costituzione di un nuovo diritto: quello di accesso ad Internet), bensì di cultura politica. È la fase di regressione culturale e di perdita di senso delle nostre categorie giuridiche, politiche e istituzionali che rende drammatica la discussione sulla revisione della Costituzione, incombente il pericolo di trasformare un’opera di manutenzione e attuazione della “legge suprema” in un tragico e distruttivo processo “costituente” suscettibile di travolgere l’intera costituzione.
Per arrestare il lungo declino è oggi necessario impegnarsi a dare qualche idea per la ricostruzione di una cultura politica giuridica e costituzionale non subalterna al mainstream. La “Convenzione” ha questo scopo principale.
Sono evidenti la disparità di forze e le difficoltà di farsi ascoltare. Ciò però non giustifica lo stare in silenzio, bensì pretende una forte apertura e volontà di dialogo. Anzitutto nei confronti della cittadinanza. È per questo che nostra intenzione non è tanto quella di produrre progetti istituzionali “finiti”, elaborati da esperti nel chiuso di un palazzo (disegni di legge alternativi o testi su questioni concernenti la vitalità della nostra democrazia costituzionale), quanto quella di definire questi progetti entro processi partecipati di elaborazione e contaminazione.
Un’apertura anche alle tante forze politiche e sociali disperse, che però si muovono entro la logica storica del costituzionalismo democratico. Penso a tutte quelle organizzazioni, a quei soggetti sociali, a quegli individui che hanno dato vita alla straordinaria manifestazione del 2 giugno a Bologna.

Il nostro lavoro non vuole essere solo un esempio di democrazia dal basso, esso punta in alto. Per questo ci rivolgeremo anche al Palazzo, alle istituzioni democratiche, nella speranza di contribuire a ridurre lo iato sempre più pericoloso che separa queste dalla cittadinanza. Presenteremo i nostri progetti ai rappresentanti della nazione, nella speranza che ascoltino. Metteremo alla prova le forze politiche e le organizzazioni sociali, auspicando il dialogo, magari aspro, ma sempre necessario.

Forse non riusciremo, ma appare ingeneroso o pericoloso rendere il nostro sforzo cosa da giuristi illuminati, ma anche un po’ ingenui, ovvero cercare di costringerci in una gabbia – magari dorata – mentre avanza un ben più dirompente processo costituente non sottoposto al alcun ordine costituito. Se siamo giunti a questo punto è anche perché in troppi, anche a sinistra, si sono fatti pendere da pulsioni costituenti, perdendo il senso della storia e delle proporzioni.