Ventitré giorni all’apertura dei cancelli di Expo2015. Il balletto di numeri, tra biglietti venduti ai rivenditori e quanti turisti visiteranno il sito, si accende assieme allo scambio di battute sulla possibilità che i padiglioni siano effettivamente pronti ad accogliere i visitatori. La speculazione politica che magnifica la grande occasione da grande evento non si ferma grazie alla compiacenza di media e istituzioni.

Non si parla del contenuto di quel «nutrire il pianeta, energia per la vita». Non si parla del costo di oltre 10 miliardi di euro, che se andrà bene sarà coperto solo per un decimo tra biglietti venduti e sponsorizzazioni di grandi multinazionali o di imprese leader nel campo della distribuzione del cibo o della finanza. Non si parla delle implicazioni sociali che il grande evento determina o dell’eredità fatta di debito e cemento al posto di zone agricole.
Vengono invece attaccate preventivamente le migliaia di persone che il 1 maggio saranno alla No Expo-Mayday. La rete di soggettività che da anni lavora in critica al modello del grande evento da subito è andata oltre alla logica del solo blocco dell’apertura di padiglioni e cancelli. Quel «No» è qualcosa di diverso e il suo significato è la messa in discussione di un intero sistema di governo e dominio del mondo, di cui Expo, insieme ai grandi eventi, alle grandi opere e alla gestione dei cataclismi, è un tassello fondamentale.

La sfida è alta e non si misura, come nel caso dei movimenti, contro opere o progetti, oppure nella capacità di bloccare e stoppare i lavori. Non si può valutare nemmeno nella capacità di «portare a casa un qualcosa», semplicemente non interessa prendere parte al banchetto che il grande evento imbandisce. Meglio rimarcare di essere altro, di essere sistematicamente in opposizione.

Risultati materiali ci sono stati: il progetto Via d’acqua Expo 2015 è stato bloccato dai comitati No Canal, così come la campagna «io non lavoro gratis per expo» è stata uno degli elementi che non ha fatto trovare i 18.500 volontari alla società Expo Spa.
Insomma, è un no antisistemico e la sua forza si misura nella capacità di coalizzare, incrociare e dialogare con diverse lotte in tutta la penisola e in tutta Europa.
L’attualità dell’opposizione «No Expo» sta nella costruzione di una rete di soggetti ampia che sappia legare storie diverse, superando la sola narrazione tra conflitti e resistenze locali, unendole in un unico mosaico d’alternativa. Forse per questo «No Expo» fa paura. Il frazionamento dei fronti d’opposizione sociale è stato il dato tangibile degli ultimi anni. Un cambio di tendenza non banale, per un obiettivo alto: la messa in discussione di dispositivi sistemici di dominio su vite, territori e futuri, e la creazione di reti d’indipendenza economica capaci di far esodo dalle logiche del capitale.

Sabato 11 aprile ci sarà a Milano un nuova assemblea nazionale. Dietro quel «No all’Expo» esiste una complessità di storie e geografie non scontate che vogliono un mondo diverso. Non un contentino.

*Rete Attitudine No Expo