Mitico Dimitris Papaioannou! Non solo perché è oggi uno dei più grandi creatori di teatro in Europa e nel mondo (non solo sulle scene, l’inaugurazione dei giochi di Baku nel 2015 è stata un’invenzione stratosferica e commovente, più spettacolare perfino delle Olimpiadi del 2004 ad Atene, di cui pure aveva curato l’apertura), ma anche perché capace di attingere direttamente alla mitologia più grandiosa, classica ma non solo, per orchestrare immagini e situazioni e suggestioni maledettamente attuali e cogenti. Dove gli elementi dei presocratici si intrecciano e danno spessore a tanti nodi irrisolti della contemporaneità, più o meno consapevole.

IN QUESTO suo ultimo Ink , quello che doveva essere poco più di una dimostrazione di lavoro, si dispiega in uno spettacolo possente. Non per la durata (poco meno di un’ora) ma per il flusso di immagini, elementi, gesti ed esplosioni che ne fanno un’esperienza che fortemente parla allo spettatore. Non per l’intreccio, molto basic, del rapporto tra due creature maschili, condizionate e dialettiche rispetto all’elemento primordiale dell’acqua, a prima vista «doccia» irrigatoria e poi onda montante fino ad allagare interamente il palcoscenico, oltre che vista e sensi del pubblico seduto in platea (e meglio ancora sui palchi). In quell’ambiente cangiante si consumano le citazioni mitologiche, che come campanelli d’allarme turbano e fanno viaggiare nella memoria emotiva. L’ultima sua creazione Sisifo, esplorava la lotta dolorosa di uomini e donne contro la materia: uno sforzo supremo di muscoli, tecnica e sudore che ogni volta fallisce per ricominciare.

I DUE UOMINI in scena ora in Ink possono essere identificati (come è successo) in diversi possibili status di coppia. Padre e figlio, oppure due amanti, in ogni caso un potente manipolatore e il suo suddito vittima, e altre possibili variazioni di ruolo. Ma è in ogni caso impressionante come con le avanzate tecnologie che alla scena danno vita (sistemi idraulici, impianti luminosi avveniristici, scenari realizzati con tessuti inventati in laboratorio) restituiscano all’occhio smaliziato di oggi riti e gesti e gesta di tradizione preistorica. Padre Crono e padre Zeus, non erano meno crudeli e persecutori verso i loro figli ed amanti, anche se sollevavano fiamme e tempeste senza la avveniristica scenotecnica di Papaioannou. Così come la sua vittima, imprigionata in rotoli di plexiglas e ripetutamente affogata in quel bagno liquido che avanza da ogni parte, ogni volta si risolleva «ciprigna», nella sua nudità materiale che mantiene un’indomabile forza dialettica.

INSOMMA Ink, ovvero l’acqua che si fa inchiostro trasparente e rivelatore pur nella sua peculiare opacità, è una inquietante metafora che può evocare le furie del Minotauro a Creta, come quelle di Medea in fuga dalla Colchide, o soprattutto Danae raggiunta e fecondata da Zeus sotto forma di pioggia d’oro nella sua prigione. Ma l’artista greco, attingendo alla sua tradizione culturale più arcaica, passando per la visualità ateniese che trascolora in quella rinascimentale, e campionando note da Vivaldi, riesce a parlarci proprio di noi, dei nostri rapporti tra persone, tra desiderio e sopraffazione, tra violenza e vittimismo. Come raramente accade in teatro, quando riesce a toccare con visioni da fantascienza le inquietudini di oggi.