Non è più rinviabile la questione del nostro contratto con soggetti futuri: i bambini e gli adolescenti di oggi, ma anche i non ancora nati. Che mondo daremo loro in eredità? Ferdinando Menga, ordinario di Filosofia di diritto dell’Università Luigi Vanvitelli di Napoli, ha scritto un libro di grande sensibilità e chiarezza su questo tema: “L’emergenza del futuro” (Donzelli Editore, 2021, pp 140, € 17). Menga dà la priorità alla “rappresentanza” e in questo modo supera il nodo dei “rappresentati” che essendo di là da venire non possono costituirsi politicamente e giuridicamente come tali: “In una certa misura, possiamo asserire che è unicamente la rappresentanza, in virtù del suo tratto creativo, a generare la cornice d’identità dei soggetti rappresentati; e a porre le condizioni preliminari per l’emergere dello spazio di apparizione e di realizzazione in cui questi ultimi possono soggiornare, agire e svilupparsi.”

A imporre la rappresentanza dei soggetti futuri nel presente, è il senso di responsabilità legato alla nostra natura di soggetti erotici, desideranti. Esso è radicato nell’esperienza del coinvolgimento profondo e persistente con la vita che dall’incontro degli amanti si irradia, attraverso i sentieri del mondo, verso tutte le forme di piacere sensuale (anche le più intellettuali o spirituali). Il coinvolgimento evapora se non moduliamo il nostro desiderio con il desiderio dell’altro in modo da mantenere in gioco la tensione erotica che, che tra le opposte, alterne correnti di altruismo e egoismo, ci fa restare entrambi desideranti e vivi, capaci di godere e di amare. L’accordarsi del dispiegamento del nostro desiderio con l’“idioma” dell’oggetto desiderato (le sue intrinseche qualità, la sua intima costituzione) è necessario anche quando esso è inanimato, fonte di un piacere sublimato: un cibo, uno spazio urbano, un locale amato, un paesaggio, un’atmosfera, un profumo, un libro, una melodia, un’opera d’arte. La responsabilità è sempre rivolta a un oggetto di desiderio (animato, inanimato o immateriale), ed è un prendere cura della relazione con esso (in tutti i suoi dettagli, in tutte le sue sfumature e declinazioni) che lo protegge dalla nostra autoreferenzialità e ci protegge dalla sua fascinazione. Siamo, al tempo stesso, responsabili nei confronti dell’alterità e di noi stessi, e lo siamo nei confronti di ogni essere umano, degli animali e della natura nelle sue molteplici variazioni, perché ogni aspetto del mondo è potenzialmente desiderabile altrimenti il nostro desiderio si chiude in se stesso.

La responsabilità nei confronti di soggetti futuri (e della natura che ci precede e resta dopo di noi) è fondata sul fatto che il nostro desiderio (che è la fonte del nostro senso di vita) richiede la loro presenza potenziale/indiretta nello spazio di attesa che rende possibile la dimensione erotica. L’essere pienamente presenti in noi stessi e nel rapporto con gli altri (il primo significato della contemporaneità) ci colloca in un tempo “inattuale” in cui il passato è vivente (secondo il principio Eracliteo dell’essere come continuità nella discontinuità) e l’azione, sospesa come dispositivo di concatenazione lineare che si esaurisce nel suo risultato concreto, si apre a sviluppi laterali, sperimentali che la collegano ad altri implicazioni e destini; così essa restando insatura nel presente, si lega intrinsecamente a un “futuro anteriore” (tempo della previsione e dell’incertezza) senza il quale perderebbe il suo senso per noi.

L’azione significativa ci trascende temporalmente in due sensi (il secondo significato della contemporaneità): ci unisce, nel gioco delle differenze che coinvolge i comuni oggetti naturali e culturali, con chi ci precede e con chi ci segue. Ci porta oltre la nostra vita e la nostra morte, nella vita di chi è già morto (e vive grazie a noi) e nella vita di chi non è ancora nato (che ci farà vivere).