«Ci sono giorni in cui è necessario confrontarsi con la morte anziché con la vita. Oggi è uno di quelli», dice Riccardo Gatti, direttore delle operazioni della nave Golfo Azzurro della ong spagnola Proactiva Open Armas a lavoro a largo delle coste libiche. «Abbiamo recuperato cinque corpi. Galleggiavano nei giubbotti salvagente. Erano ragazzi tra i sedici e i venticinque anni. Avvisti un corpo che galleggia e sai subito quel che significa: decine, forse centinaia di persone inghiottite dal mare. È la realtà che ti arriva come un pugno, qui ti fa male, mentre in Europa è invisibile».

Come avete saputo dei naufragi?

Eravamo appena arrivati nella zona operativa al confine delle acque territoriali libiche quando, al mattino presto, ci siamo imbattuti in un corpo che galleggiava. Abbiamo informato il comando della Guardia costiera di Roma che ci ha dato istruzioni di imbarcare il cadavere. Poco dopo ci è arrivata una chiamata radio dalla nave Iuventa della ong tedesca Jugend Rettet che ci segnalava la presenza di un canotto semiaffondato a circa 6,5 miglia dalla nostra posizione. Poco lontano da dove eravamo ne abbiamo trovato un secondo. È stato allora che sono apparsi i corpi, erano spinti dalle onde e dal vento nella stessa direzione dei resti dei canotti. Nemmeno un superstite. Ogni gommone ha a bordo cento, centoventi persone. Ho visto gommoni stipati fino a 225 persone. Di queste, di solito solo tre o quattro hanno i giubbotti. Quando c’è un naufragio, rimangono a galla solo loro. Quanti erano, lo sapremo tra qualche giorno, quando i corpi appariranno sulle spiagge.

Vi è stata segnalata una terza imbarcazione.

Il Comando di Roma ha ricevuto una chiamata a quattro miglia dalla costa libica. Penso che non siano mai usciti dalle dodici miglia costiere. Andavano verso nord, perciò ci siamo posizionati e abbiamo creato un dispositivo di ricerca concordato con Roma, insieme alla Iuventa, non per zone ma per linee rette: la Golfo azzurro faceva nord-sud in direzione ovest, la Iuventa est-ovest in direzione sud. Siamo andati avanti e indietro molto piano, per quattordici ore, con tecniche che si usano nelle operazioni di search and rescue. Calcolando le ore che ci avrebbe messo, posso dire con quasi assoluta certezza che l’imbarcazione non è mai uscita dalle acque territoriali libiche e può essere che sia stata fermata e ricondotta indietro.

State portando le salme in Italia?

Avevo chiesto di dirigerci verso Pozzallo, che è il porto più vicino, perché abbiamo piccoli problemi meccanici e perché vogliamo riprendere al più presto la nostra attività, ma il porto in cui dobbiamo attraccare lo decide il ministero dell’Interno. Ci hanno detto che a Pozzallo non ci sono celle frigorifere. Ci hanno detto di andare a Catania. Arriveremo domani mattina alle sette.

È la sede di Frontex, e della Procura che ha aperto un’indagine conoscitiva sulle ong che fanno soccorso in mare.

Quando siamo partiti da La Valletta abbiamo provato a lasciarci alle spalle l’amarezza per le accuse che si sono susseguite nelle scorse settimane. Frontex, la procura e i media che hanno amplificato le loro dichiarazioni non hanno alcun elemento di reato, ma insinuano dubbi sul nostro operato. Si tratta di falsità, o di affermazioni paradossali. Perché accusare le ong di fare il 50 per cento dei salvataggi in mare? Non è assurdo? Se la società civile deve accollarsi il compito umanitario di portare in salvo i naufraghi, vuol dire che chi ne avrebbe primariamente il dovere morale e legale non fa abbastanza.

Da più parti vi accusano di fare da traghettatori, d’intesa con i trafficanti.

Il nostro compito è salvare le persone, cioè quello che oggi purtroppo non siamo riusciti a fare. Persone che non hanno canali legali e sicuri, che si vedono ogni strada bloccata e si affidano alla più pericolosa. È a causa delle ong che salgono su quei gommoni, perché poi li andremo a salvare? Non scherziamo, è un’accusa ridicola, e i morti che portiamo a bordo stanno a dimostrarlo. Siamo noi che ostacoliamo le indagini? È altrettanto ridicolo. Tutte le nostre operazioni sono coordinate dal Mrcc, il centro operativo di Roma della Guardia costiera. Nel solo 2016, le ong hanno salvato 46.796 naufraghi. Sono dati della Guardia costiera italiana, contenuti nel rapporto della Mrcc di Roma.

Allora perché questo attacco?

Criminalizzare noi ha la funzione di coprire l’assenza di una vera missione di soccorso e di procedere indisturbati a erigere una frontiera invisibile contro i migranti, con l’aiuto dei governi dei Paesi terzi. Ma le persone continueranno a uscire in mare in condizioni metereologiche sempre peggiori e su mezzi di fortuna. Rendere invisibili le vittime è lo scopo di questa campagna che ci sta infangando, ma non farà che dimostrare la forza della nostra testimonianza e l’importanza dello sguardo della società civile.