Forse mai, in 25 anni di esistenza del partito azzurro, Silvio Berlusconi aveva dettato alle agenzie di stampa un simile anatema. Tanto estremo e ruvido nei toni da non sembrare neppure di suo pugno. La ferita aperta è il voto al Senato sulla commissione Segre che si occuperà di odio, razzismo e antisemitismo. L’astensione di Forza Italia è la scintilla che dà fuoco alle polveri esplosive accumulatesi da mesi sotto il tappeto azzurro. Otto senatori hanno seguito l’ordine di partito ma con immenso sforzo. L’ex direttore del Quotidiano nazionale Andrea Cangini ha spiegato nel suo blog sull’Huffpost le ragioni della dissociazione. Mara Carfagna, quanto di più vicino a un leader d’opposizione ci sia oggi in Forza Italia, ha usato toni estremi: «Stiamo tradendo i nostri valori».

La replica del capo è anche più violenta dell’attacco: «Mi aspetto che nel movimento che ho fondato nessuno si permetta di avanzare dubbi sul nostro impegno a fianco di Israele, del popolo ebraico e contro l’antisemitismo». Prese di posizione come quelle di Mara «favoriscono chi vorrebbe dipingerci come quello che non siamo». La conclusione è drastica: «Se qualcuno vuole seguire strade già percorse da altri ne ha la libertà, ma senza danneggiare ulteriormente Forza Italia». Quella è la porta.

La leader nel mirino non risponde. Molti, e probabilmente anche lei, sono convinti che a scrivere quelle righe di fuoco sia stato il nuovo cerchio magico, i Ghedini e i Giacomoni. Forse qualcosa di vero c’è, ma l’ira di Berlusconi è sincera. Per lui, che da sempre non traccia distinzione alcuna tra dimensione privata e pubblica, l’accusa di complicità con l’antisemitismo è un’offesa personale e in quel che resta dell’impero forzista, proprio come ai tempi della gloria, sono quelle che Berlusconi interpreta come offese personali a determinare le rotture.

In realtà nessuno sospetta il Cavaliere di pulsioni antisemite. La commissione di Liliana Segre è solo il casus belli. Sullo sfondo si staglia come sempre Matteo Salvini. Sarebbe stato lui a chiedere all’alleato di non votare a favore della commissione, preoccupato più che per il suo partito o per quello di Giorgia Meloni, ancor più nel mirino, per la sorte della «stampa amica». I media che tifano Salvini non ci vanno leggeri. Potrebbero pagare il prezzo della campagna contro il «linguaggio d’odio» ben più che non la Bestia di Salvini e Luca Morisi.

A questo punto, però, in discussione ci sono solo i tempi e modi dell’addio, non più la scelta. Finché l’alleanza con Matteo Salvini era in bilico, soggetta agli umori del leader leghista, poteva ancora esserci strada. Ora l’ala forzista che di andare con Salvini non ha intenzione dovrà decidersi a fare la sua mossa. Ieri Mara Carfagna ha incontrato Giovanni Toti e all’uscita il governatore ligure ha detto di averla trovata «non a proprio agio» nel partito ma per ora decisa a non strappare. Se non sarà lei sarà Renata Polverini, altrettanto ostile sia all’astensione sulla commissione Segre sia a Salvini, oppure saranno parlamentari in ordine sparso. Ma lo stallo, in quella che fu Forza Italia, sta per finire.