Domenica, poco prima che Matteo Renzi strappasse l’applauso alla festa nazionale del Pd facendo il solidale con il cuore degli altri (Angela Merkel, non lui, ha spalancato le porte ai profughi), una donna nigeriana sbarcata a Lampedusa stava piangendo i suoi due bambini appena scomparsi in mare.

Nessuno li ha fotografati, sono bambini che per gli europei non esistono, come quasi inesistente è la notizia dell’ultima tragedia che si è consumata a trenta miglia dalle coste libiche. Con la donna nigeriana, che ha perso anche un fratello, la nave della marina Dattilo ha soccorso 107 persone che erano a bordo di un gommone sgonfio. Secondo i racconti dei superstiti, almeno venti compagni di viaggio sarebbero scomparsi in mare. Li ritroveremo presto ad ingrossare la prossima statistica aggiornata sui morti nel Mediterraneo (due giorni fa eravamo fermi a 2.800 esseri umani). A raccogliere il racconto della donna sono stati gli operatori del progetto “Mediterranean Hope” della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Un altro ragazzo del Gambia ha detto di aver perso due amici.

Ma questi (in Italia) sono giorni di confusione, proclami e accuse reciproche tra “umani”da una parte e “vermi” dall’altra, due categorie troppo distratte da se stesse per rendersi conto di ciò che continua ad accadere nel mare e sulla terraferma. Il centro di accoglienza di Lampedusa, per esempio, oggi ospita 530 migranti pur avendo una capienza di 250 posti. A Catania, tre giorni fa, sono sbarcati 344 migranti, mentre l’altro ieri a Pozzallo (Ragusa) ne sono sbarcati 327, tra cui uno scafista che ha portato con sé il figlio di dieci anni: «Non avevo soldi per farlo partire, così mi sono offerto di fare il pilota per dargli un futuro», ha confessato alla polizia.

A tutte queste persone che continuano ad arrivare nonostante l’immagine shock del piccolo Aylan, bisognerà dare una risposta. Significa che Matteo Renzi non può continuare a cavarsela limitandosi ad esaltare la generosità della Germania e dei cittadini tedeschi. «È urgente che siano costruiti gli hotspot», ha ribadito ieri Angela Merkel in conferenza stampa a Berlino.

Il messaggio è inequivocabilmente rivolto ai due paesi di primo approdo dei migranti, Italia e Grecia. Questa è la contropartita che l’accogliente Germania pretende dai suoi partner europei più esposti alle ondate migratorie: una stretta sul controllo e sulle identificazioni dei migranti che arrivano in Europa. Costruendo luoghi di internamento, i cosiddetti “hotspot”, dove non si potrà far altro che limitare la libertà delle persone prima di stabilire chi avrà diritto alla protezione e chi invece dovrà essere rispedito indietro. Ma prima di procedere all’allestimento dei nuovi centri di identificazione (a Lampedusa, Pozzallo, Trapani, Taranto e Augusta) il governo italiano vuole che in Europa si arrivi a un accordo certo sulla distribuzione dei richiedenti asilo nei vari paesi. Questo è uno dei nodi principali da affrontare durante il vertice europeo della prossima settimana.

Altra questione cruciale, da cui dipenderà la gestione degli “hotspot” che rischia una deriva concentrazionaria, è stabilire quali siano i paesi d’origine considerati pericolosi in modo tale da assicurare protezione solo ad alcuni migranti. Una scelta che non può che risultare arbitraria e che finirebbe per discriminare quei profughi che rischiano di essere respinti senza che venga valutata la loro personale vicenda. Infatti, come stabilisce la convenzione di Ginevra, qualunque persona può essere vittima di violenze e persecuzioni a prescindere dal paese di provenienza