Dopo le esternazioni di Di Maio nel pomeriggio di ieri, a seguito dell’incontro fra Conte e la delegazione 5Stelle, e la consegna di venti punti considerati irrinunciabili pena il ricorso alle elezioni anticipate immediate, la domanda è una: siamo di fronte alle solite fibrillazioni che preludono all’accordo programmatico finale, secondo uno dei «classici» più seguiti nelle trattative politiche e sindacali, oppure siamo davvero a un rovesciamento dei tavoli?
Certamente le reazioni sono state brusche da tutte le parti. Il Pd nelle varie e non identiche dichiarazioni dei suoi esponenti rifiuta qualunque ultimatum e si dichiara disposto a elezioni.

Ma il ricorso al voto ora permetterebbe a Salvini di arrivarci in condizioni ancora migliori, calpestando le ceneri di un fallito accordo 5Stelle-Pd.
Il mondo economico sembra prendere sul serio le minacce di rottura: sale, anche se non vertiginosamente, lo spread e Piazza Affari chiude in rosso. Il che peraltro accade proprio nel giorno in cui vengono diramati i dati Istat che leggono un incremento della disoccupazione, in particolare giovanile, e una crescita nulla. Per rispondere alla domanda vanno vagliati i testi, ovvero i venti punti programmatici, tenuto ben presente il contesto e valutati i comportamenti dei protagonisti della crisi.

Siamo ben lontani dal «programma dettagliatissimo» invocato da Romano Prodi. Il documento programmatico grillino assembla elementi generici ad altri più precisi, con un duplice obiettivo. Da un lato quello di mettere in difficoltà o quantomeno sottopressione il Pd, dall’altro quello di tranquillizzare il proprio elettorato rispetto alla capacità di tenuta sui temi tradizionali del mondo a 5Stelle. Sapendo che la prova della piattaforma Rosseau va affrontata nel modo più indiretto possibile. In questo caso sottolineando assai più gli aspetti programmatici che non la scelta dell’alleato di governo, nell’intento così di smorzare il livore contro il Pd che è ben vivo tra gli iscritti alla piattaforma. Per questa ragione il primo dei venti punti è il taglio del numero dei parlamentari, il più tradizionale dei cavalli di battaglia nella scuderia grillina. In precedenza Di Maio era parso più morbido sui tempi di approvazione. Ora siamo ad un irrigidimento.

D’altro canto a questa sciagurata riforma costituzionale manca un solo voto, l’ultimo della doppia lettura, ed è già stato oggetto della famosa pantomima innescata da Salvini nei suoi ultimi discorsi da ministro spodestato.

Non importa che l’Osservatorio sui conti pubblici abbia stimato insignificante il risparmio derivante dal taglio dei parlamentari mantenendo il bicameralismo perfetto, 57 milioni (poco al di là dei famigerati 49 milioni che la Lega si è impegnata a restituire con una lunghissima ratealizzazione), pari allo 0,007% del bilancio. Quello che conta per Di Maio è fare vedere ai suoi che quello che Salvini era disposto a concedere nella sua voluta ignoranza delle normative, i 5S ora lo pretendono dal Pd.

Nello stesso tempo l’approvazione della riforma con i tempi previsti per la sua entrata in vigore e quelli derivanti da un eventuale referendum confermativo, metterebbe al sicuro almeno per qualche mese la durata della legislatura.

Sul piano economico non si apprezzano novità particolari, infatti sbrigativamente si elenca lo stop all’aumento dell’Iva, il salario minimo, il taglio del cuneo fiscale senza precisare né modalità di attuazione, né reperimento di risorse. D’altro canto l’ex vicepremier ha ribadito a Conte la contrarietà a qualunque forma di tassazione patrimoniale. Il punto sulla tutela dei beni comuni (positivo in sé il ribadimento di una legge sull’acqua pubblica) entra in contraddizione stridente con il ribadimento dell’autonomia differenziata delle regioni, ovvero della secessione dei ricchi che si mangerebbe non solo i beni pubblici e ciò che resta del welfare, ma metterebbe seriamente in dubbio qualsiasi forma di coesione e convivenza fra le varie parti geografiche del paese.

La distanza tra la retorica del governo di svolta e la realtà è data, più ancora da quanto sta scritto nel documento a proposito del «contrasto al fenomeno della immigrazione clandestina», dalle dichiarazioni e dagli atti compiuti in queste ore. La non necessaria firma di Toninelli e della Trenta (una «porcata» come ha detto giustamente Saviano) all’ordinanza di Salvini di divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane per la Mare Ionio, chiarisce fin troppo bene le intenzioni di Luigi Di Maio, quando afferma che non ha «alcun senso parlare di modifiche» ai decreti sicurezza, neppure limitatamente alle osservazioni del Quirinale.

Oggi Conte tenterà una mediazione tra 5Stelle e Pd. Certamente la piega che rischia di prendere il profilo programmatico del nuovo governo è più che inquietante e dovrebbe fare ripensare su ottimismi troppo presto espressi anche a sinistra.