Quando diventa ancora più difficile intravedere una soluzione politica al conflitto israelo-palestinese, il ricorso alla violenza torna a essere visto come l’unica risposta possibile, benché in realtà conduca a un altro vicolo cieco.

Dappertutto si levano gli alti lai dell’estrema destra israeliana: «Farla finita con il terrore…». E i media, in Israele e all’estero, analizzano sapientemente «il problema del terrore».

Ma il problema è più grave: è l’occupazione, è la condizione di un popolo, i palestinesi, privato di ogni tipo di diritti e trattato brutalmente dalla potenza occupante.

A breve distanza, il popolo siriano inizia a pagare il prezzo più duro degli ultimi cinque anni, adesso che statunitensi e russi si contendono il ruolo di «combattenti contro il terrore islamista» e bombardano provocando fiumi di sangue che potrebbero degenerare in un conflitto molto grave grazie ai vari Obama, Putin ed Erdogan.

L’aria di Gerusalemme sembra avvelenata e a poco a poco il fenomeno si sta allargando a tutto il paese. Giovedì scorso una coppia di coloni è stata attaccata e assassinata nelle vicinanzedi Nablus; sono sopravvissuti i quattro bambini, che si trovavano sul sedile posteriore. Tre giorni dopo, due israeliani sono stati assassinati mentre uno di loro tornava con la famiglia dalla preghiera al Muro del pianto, nella città vecchia di Gerusalemme. Fatti come questi, e i continui lanci di pietre insieme agli scontri quotidiani alla Spianata delle moschee hanno provocato un coro infernale contro il «terrore criminale», visto che «il primo ministro propone la pace ma loro rispondono con gli omicidi…è il risultato degli incitamenti di Abu Mazen, un criminale come Arafat».

Sarebbe tedioso citare tutte le enormità che sono state dette e ascoltate. Eccone un riassunto: noi israeliani siamo le vittime e occorre una reazione forte, non i deboli passi di Netanyahu, un repulisti come l’azione decisiva di Sharon nel 2002.

E soprattutto è necessario riprendere massicciamente la costruzione di insediamenti nei territori occupati.

Con una coalizione di estrema destra il «povero» Netanyahu non può dire che il problema siano i ministri moderati che lo frenano. Di fronte al circo delle Nazioni unite e alla «tragedia di chi tace mentre vogliono sterminarci», Netanyahu sembra capire – almeno in parte – che riprendere ufficialmente il progetto di ampliamento delle colonie, come chiede l’estrema destra, significherebbe isolare ulteriormente Israele. Il suo discorso alle Nazioni unite è stato solo una protesta ridicola rispetto a una battaglia persa: il tentativo di impedire l’accordo con l’Iran.

Incredibilmente, la cecità è generale e colpisce anche fuori di Israele. Nei territori occupati i coloni continuano con i loro attacchi, prendono a sassate le auto, chiudono strade, incendiano. Tre morti bruciati vivi aspettano ancora una risposta dai nostri invincibili servizi segreti. Alla violenza dei coloni si aggiunge la routine della violenza da parte della polizia e dell’esercito. Sono quasi quotidiane le notizie di palestinesi morti per mano delle cosiddette «forze dell’ordine»; uccisi perché minacciavano la vita di nostri soldati, o perché sembrava nascondessero un coltello, o per tutte le buone ragioni che poliziotti e soldati accampano per sparare contro palestinesi di ogni età. Negli ultimi giorni sono già centinaia i feriti palestinesi, e non si contano gli stessi morti.

Netanyahu guida un governo di estrema destra che può al massimo fare dichiarazioni accettabili alle orecchie dei capi di Stato esteri in visita, ma non può condurre una politica seria ed efficace verso la pace. Questa ragione strutturale acuisce la debolezza del governo di Abu Mazen. Circondato da non pochi opportunisti e funzionari corrotti, quest’ultimo non può vantare alcun risultato effettivo per il suo popolo; e, il che è ancora più grave, non può portarlo a una reale unità con Hamas. Lo ripeteremo fino alla fine: piaccia o no, senza una vera unità fra i palestinesi non si può arrivare alla pace.

Hamas che non è ancora riuscito a recuperare dalla sconfitta dell’ultima guerra, l’Autorità palestinese di Abu Mazen che non riesce a ottenere alcun risultato tangibile: ecco un contesto ideale per questo governo israeliano di estrema destra che vuole solo ballare la danza dell’annessione strisciante. E’ allora facile vedere il risultato: presso entrambi i popoli crescono la paura e l’odio, la vendetta diventa politica e la catena di sangue si autoalimenta a un ritmo sempre più veloce. Se non si interrompe questa catena, anche se nei prossimi giorni la situazione si calmasse si verificheranno ben presto nuove esplosioni. I leader delle due parti potranno anche cercare di controllare la situazione, ma in entrambi i campi saranno in molti a non voler seguire questa strada. A volere più sangue.

Nuvole scure si addensano e le prospettive di un miglioramento non sono vicine. In sottofondo, le allegre esplosioni degli aerei di Putin e di Obama che bombardano ogni giorno i «propri» terroristi, a vantaggio del grande statista Bashar al Assad.