Le nuvole nere delle inchieste giudiziarie sul terremoto sono destinate a farsi tempesta entro la fine dell’anno: il 27 settembre, ad Ancona, ci sarà l’udienza preliminare per le 34 richieste di rinvio a giudizio per il caso dei subappalti delle casette provvisorie, a cui seguirà l’udienza (non ancora fissata) per un altro filone della stessa inchiesta e infine si comincerà a discutere anche dei casi di caporalato diffusi nei cantieri. Tutti questi casi montano ormai dal 2017, cioè da quando la Cgil di Macerata ha cominciato a compilare corposi dossier, inchiodando alle proprie responsabilità diverse delle 100 ditte che si sono spartite i 1.300 subappalti della costruzione delle casette.

Daniel Taddei, segretario della Cgil di Macerata, a che punto siamo?

Dal punto di vista giudiziario siamo a uno snodo importante, noi come Cgil siamo parte civile in tutti questi processi e la nostra speranza è che, oltre alle responsabilità penali emergeranno anche quelle politiche.

Di cosa parla?

È del tutto evidente che, almeno in un primo momento, la Regione Marche ha sottovalutato la gravità della situazione: già nel settembre del 2017 incontrammo formalmente i vertici della giunta dicendo che la campagna che stavamo facendo era solo la punta dell’iceberg di un fenomeno molto più esteso. Invece di trovare collaborazione, ci hanno visto come dei disturbatori….

Oltre a tutte le irregolarità nei cantieri, tra appalti e subappalti, abbiamo assistito anche a una serie inquietante di casi di caporalato.

Sì, e purtroppo devo dire che il fenomeno non si sta arrestando. Anzi, ormai il caporalato non riguarda più soltanto l’edilizia. Abbiamo casi specifici nell’agricoltura, oltre al facchinaggio e alle false cooperative della logistica che lavorano all’interno di altre imprese con contratti discutibili e mansioni improprie. È un fenomeno che si sta allargando, parliamo di ditte che hanno la sede legale in altre regioni e non hanno niente in questo territorio. Oltre al modo con cui fanno lavorare le persone. Un elemento critico, in questo senso, è la sicurezza sul posto di lavoro: spesso ci siamo occupati di infortuni causati dal fatto che i lavoratori non avrebbero dovuto fare quello che stavano facendo.

Tutto questo come ha influito sulla ricostruzione vera e propria?

Mi pare che ci sia grande inadeguatezza dal punto di vista del quadro normativo, oltre che della legalità. Il commissario Legnini ha snellito le pratiche, ma ci sono dei nodi che ancora non si sciolgono. Tutta la politica dei bonus sull’edilizia ha prodotto una saturazione del mercato: è quasi impossibile trovare imprese e professionisti che vogliano prendersi i lavori sugli edifici. Intendiamoci, i bonus potrebbero essere una grande opportunità, ma manca la capacità di assorbimento da parte delle aziende e il punto vero mi pare questo. Poi bisogna aggiungere che dei livelli di irregolarità ci sono e sono ben visibili. Tra le altre cose avremmo stipulato una serie di protocolli sulla legalità con le prefetture del territorio. Malgrado le sollecitazioni della ministra degli Interni Lamorgese, però, in molti territori ancora si temporeggia.

C’è una soluzione?

Approvare i protocolli come prima cosa. Poi, è dall’inizio del doposisma che solleviamo il problema dei campi base, luoghi in cui concentrare imprese e lavoratori. Con la Quadrilatero (il sistema infrastrutturale che collega le province di Macerata e Perugia) ce n’era uno a Serravalle di Chienti ed era un presidio di legalità. Adesso nel cratere i lavoratori spesso devono fare ore di viaggio per andare in cantiere e abbiamo anche registrato casi di persone che si sono fermate a dormire nelle abitazioni lesionate. Una cosa inaccettabile.