Il nuovo cinema argentino che arriva anche sui nostri schermi ci ha abituato a un sapiente alternarsi di realismo politico e dimensione poetica, ambientazione metropolitana ed esplorazione rurale, più la cancellazione del vecchio stilema letterario degli anni ’80 in favore di un divertente nonsense contemporaneo.

Nel caso de Il cittadino illustre di Mariano Cohn e Gastón Dupratche arriva oggi nelle sale dopo essere passato in concorso a Venezia, dobbiamo un po’ aggiustare l’attenzione: l’intreccio sembra essere una commedia che potrebbe essere ambientata in qualunque luogo e via via scopriamo invece essere strettamente connesso al territorio e ai suoi personaggi, alla pampa e ai suoi abitanti e allora il divertimento prende il sopravvento, perché la materia drammatica scorre sotterranea e con flusso costante. Il protagonista, interpretato da Oscar Martinez, famosissima figura del cinema, teatro e tv, è lo scrittore Daniel Mantovani nato a Salas, un paesino di campagna a settecento chilometri da Buenos Aires, uscito dal paese appena ventenne, che da quarant’anni non ha mai più lasciato l’Europa.

Dopo essere stato insignito del premio Nobel per la letteratura viene invitato dal sindaco del suo paese a ricevere l’onorificenza di cittadino onorario. Personaggio isolato, sbrigativo e tranchant perfino nel discorso di premiazione di fronte ai reali di Svezia, secco ma allo stesso tempo bisognoso di applausi, rifugge a ogni altro appuntamento pubblico e infine accetta soltanto il fatidico viaggio di ritorno al suo paese che peraltro è stata la fonte di ogni sua ispirazione.

Il film comincia quindi con un paradosso, poiché l’Argentina deve anche fare i conti con il fatto che mai un Nobel per la letteratura è stato assegnato ai suoi scrittori, fosse anche Borges, rispetto ai confinanti cileni che con Gabriela Mistral e Pablo Neruda ne hanno vinti due. Il film prosegue con andamento esplorativo dipingendo figure e personaggi locali come nel ben rodato genere «rurale» che affonda le radici nelle origini della letteratura argentina e poi si è sviluppata in innumerevoli esempi cinematografici: il sindaco, l’intellettuale di paese, la ragazzina sessualmente disinibita, l’antica fidanzata, l’amico d’infanzia che quella fidanzata se l’è sposata, personaggi tanto più comici quanto più il sottotesto è amaro e impercettibile.

Non c’è bisogno infatti di accennare alla dittatura e alla spaventosa crisi economica che ha colpito il paese e ancora più duramente la provincia. È restato un risentimento, una rabbia impotente, l’impossibilità di trovare una via d’uscita, di cui si coglie solo la superficie. È proprio il tono di normalità dell’intreccio a far esplodere la comicità, il contrasto tra l’uomo di successo che piomba dall’estero senza aver condiviso i drammi degli ultimi quarant’anni anni, il confronto tra il tormento solo intellettuale dello scrittore e la terribile violenza che si sente scorrere in quella società, pronta ad esplodere in modo inaspettato.

La crudeltà comica di mostrare il catalogo di come l’argentino non vuole vedersi rappresentato: il suo fanatismo ideologico, l’eccessiva mitezza del popolo, il nazionalismo portato alle estreme conseguenze.