Sotto zero. È questo il livello di credibilità che l’Accademia di Svezia avrebbe raggiunto nel suo paese (e nel mondo), dopo che diciotto donne hanno affermato di aver subito violenze sessuali dal sedicente e mondanissimo intellettuale Jean Claude Arnault, fotografo e marito di Katarina Frostenson, membro dell’istituzione stessa. A complicare il quadro e a tirare dentro sempre di più la prestigiosa organizzazione, ci sarebbe anche una vicenda non chiara di finanziamenti per l’associazione culturale gestita dalla coppia – Forum – che avrebbe ricevuto denaro dall’Accademia. A ingarbugliare definitivamente la matassa, ci sarebbe poi il fatto che fra le donne molestate figuri pure la principessa Victoria: l’aggressione avvenne durante una cerimonia nel 2006, secondo quanto riferito da alcuni testimoni al quotidiano locale Svenska Dagbladet. La casa reale tace al riguardo, ma in un comunicato ufficiale ha fatto sapere di appoggiare senza riserve il movimento #Metoo.

Alla raffica di dimissioni di accademici che ha falcidiato l’istituzione (fatto eccentrico poiché i suoi componenti vengono eletti a vita, tanto che re Carlo XVI Gustavo ha dovuto assicurare che modificherà le regole in vigore per permettere in futuro lo svolgimento dei lavori della «commissione») è seguita dopo giorni convulsi di riunioni, la clamorosa notizia: il Nobel della letteratura salterà il giro. Arrivederci al 2019, con due nobel in tandem.
Ma perché a fare le spese di un individuo losco, che si spera sarà perseguito nelle opportune sedi, è proprio la letteratura, «bandita» e considerata co-imputata suo malgrado? Cosa c’entrano scrittori e scrittrici con questa vicenda?

Se la Svezia e i suoi accademici hanno voluto dare un segnale forte con la loro presa di posizione (porre una distanza dalla brutalità maschile e da un sistema di potere che si manifesta con la violenza sessuale), il bersaglio è – clamorosamente come la notizia – sbagliato. A essere colpevolizzata, alla fine, è la cultura e la sua produzione intellettuale. Un modo come un altro per creare fumo negli occhi e far vacillare le coscienze, oltre alle leggi.

La campagna #MeToo rischia così di diventare un luogo simbolico in cui far precipitare tutto, il pericolo è lo svuotamento di contenuti con la generalizzazione e anche la bizzarria di decisioni non consone ai fatti. Non si sopravvive a uno stupro o alle imposizioni erotiche non desiderate se si cancella un Nobel per la letteratura (e non si capisce perché invece quelli di chimica, medicina, economia etc… possano essere aggiudicati con animo sereno da altri). Si sopravvive meglio quando le denunce e abbattimento dell’omertà riescono a minare dalle fondamenta quel sistema malato (culturalmente anche) che permette agli uomini di avere comportamenti brutali, pur nel cuore della democratica e civilissima Svezia.

Sono state diecimila le donne uscite allo scoperto riportando abusi, e a luglio dovrebbe entrare in vigore un disegno di legge che considera alla pari di uno stupro qualsiasi rapporto sessuale non esplicitamente volontario.  Ma che l’architettura sociale delle molestie sia ancora tutta da estirpare lo testimonia il fatto che per il «caso Accademia» su molti siti – italiani e stranieri – a campeggiare in fotografia sia una donna, quella Katarina Frostenson, scrittrice e moglie del violentatore seriale Arnault. Un ribaltamento di campo che la trasforma in imputata. Niente di nuovo: avviene già nei processi per stupro e nella gogna mediatica.