Il premio Nobel per la pace alle Forze Armate israeliane. A lanciare la candidatura è Ron Dermer, giovane politico israeliano destinato a una brillante carriera. In quota Likud, ex consigliere del premier Benyamin Netanyahu, è ora ambasciatore nel paese più potente al mondo e stretto alleato di Israele, gli Stati Uniti. Partecipando ieri a Washignton a una conferenza dei “Cristiani Uniti per Israele”, Dermer si è scagliato contro le Nazioni Unite, i centri per i diritti umani e le agenzie umanitarie internazionali che accusano Israele di crimini di guerra a Gaza. Per l’ambasciatore israeliano le Forze Armate israeliane meritano il premio Nobel per la pace perchè starebbero combattendo con «inimmaginabile contenimento» nei confronti di un nemico spietato, responsabile di tutto e di più. Poi ha pronunciato una frase che rimarrà scolpita nella storia dell’operazione “Margine Protettivo”: «Non tollero le critiche che sono rivolte al mio Paese nel momento in cui i soldati israeliani stanno morendo per far vivere i palestinesi innocenti».

 

Leggendo quelle dichiarazioni ci viene da pensare ai quattro bambini Bakr, uccisi da due colpi sparati dalla Marina israeliana contro la spiaggia di Gaza city. Oppure a quella madre con in braccio il figlio e il terrore scolpito sul suo volto che abbiamo visto domenica mentre scappava da Shujayea sotto le cannonate. O ancora ai 27 membri della famiglia Abu Jami sterminati, bambini inclusi, da missile a est di Khan Yunis. Tutto falso, non è mai avvenuto, una menzogna lunga due settimane raccontata dai giornalisti, palestinesi e stranieri, colpevoli di riferire cosa accade nella Striscia di Gaza. E’ questa versione che si sta cercando di far passare ovunque per infangare chi fa informazione a Gaza e, più di tutto, per gettare nell’oblio oltre 600 vite umane palestinesi.

 

Dirà bugie anche l’Unicef, che riferisce che un totale di 121 bambini e ragazzi palestinesi sono stati uccisi dai raid israeliani a Gaza dall’8 al 21 luglio, di età tra i 5 mesi e i 17 anni. Due bambini su tre hanno meno di 12 anni. 904 bambini risultano feriti. A chi è scampato alla morte, serve urgente sostegno psicosociale specializzato per affrontare il trauma che stanno vivendo in seguito alla morte di parenti o il loro ferimento o la perdita della propria casa. Il portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, Jens Laerke (sarà un bugiardo anche lui?) descrive una situazione devastante sul fronte della protezione per la popolazione. A Gaza, meno di 400 kmq, dice Laerke, «non c’è letteralmente alcun posto sicuro per i civili». Pesano anche le carenze di forniture ospedaliere e medicinali. Diciotto strutture sanitarie – come l’ospedale al Aqsa di Deir al Balah, colpito da una cannonata due giorni fa – sono state danneggiate, inclusi tre ospedali, denuncia l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Senza dimenticare che 1,7 milioni di palestinesi di Gaza non hanno accesso o solo un accesso limitato all’acqua.

 

Come si attendevano un po’ tutti, dopo il massacro di dozzine di civili e il massiccio bombardamento tra sabato e domenica a Shujayea, i civili palestinesi scappano non appena apprendono di movimenti di reparti corazzati israeliani. Ieri nel giro di poche ore, i centri abitati di Sheikh Zayed e Tel Zaatar, a nord di Gaza, si sono svuotati sotto la furia dei cannoneggiamenti israeliani a ridosso delle case. Mentre i combattimenti tra truppe israeliane e miliziani palestinesi si avvicinano al campo profughi di Jabalya (70 mila abitanti). La gente fuggendo nel panico, dirigendosi verso le scuole dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi. Fonti giornalistiche locali stimano che a Gaza gli sfollati siano 135 mila, 90 mila dei quali ospiti dell’Unrwa. Una richiesta di aiuto viene lanciata in queste ore proprio dall’Unrwa. L’agenzia comunica di non poter più sfamare le decine di migliaia di palestinesi che in questi giorni ha accolto nelle proprie strutture nella Striscia. Sono necessari aiuti immediati per 60 milioni di dollari.

 

A dare un aiuto alle Nazioni Unite, ci sono anche le organizzazioni non governative. Il coordinamento di quelle italiane che operano in Palestina ha lanciato una campagna di raccolta di medicinali, acquistate a Ramallah grazie a donazioni di tanti italiani, e poi portate a Gaza dal Palestinian Medical Relief (non senza difficoltà). Contribuisce anche l’ufficio di Gerusalemme della Cooperazione governativa italiana che ha stanziato fondi per l’emergenza. «Collaboriamo con il Centro Italiano e varie associazioni locali per acquistare materassi, coperte e prodotti di prima necessità per gli sfollati – spiega Meri Calvelli, dell’Acs di Padova che in questi giorni sta coordinando per conto delle ong italiane gli aiuti ai civili palestinesi – La nostra distribuzione avviene in alcune delle scuole dove hanno trovato alloggio gli sfollati e direttamente alle famiglie che hanno perduto tutto, che non hanno più la casa e che sono ospitate in stabili qui a Gaza city. A darci una mano ci sono tantissimi volontari palestinesi, giovani soprattutto, che ci aiutano anche nella compilazione degli elenchi delle famiglie da aiutare».

 

Il Cairo potrebbe dare un contributo importante nell’accoglimento degli sfollati, sul versante egiziano della frontiera di Rafah ad esempio, e per allentare la pressione sugli ospedali palestinesi schiacciati sotto il peso di oltre 3mila feriti (senza contare che gli obitori non riescono più a contenere i cadaveri che arrivano in continuazione). Ma dalle autorità egiziane arriva un’assistenza limitata. Il regime del presidente Abdel Fattah al Sisi è tenacemente schierato contro Hamas, perchè parte dei Fratelli Musulmani, ma attua misure che colpiscono soltanto la popolazione civile palestinese. Sino ad oggi solo 47 feriti palestinesi hanno potuto raggiungere gli ospedali egiziani e nei 15 giorni di offensiva militare israeliana ci sono stati appena 2.230 ingressi di palestinesi in Egitto e 1.194 di loro passaggi dal territorio egiziano alla Striscia. Numeri molto bassi rispetto all’emergenza di Gaza ma che comunque consentono a Sisi di smentire chi denuncia che l’Egitto per il blocco del passaggio di feriti attraverso il valico di Rafah. Secondo il Cairo sarebbe addirittura Hamas, a fini propagandistici, a non inviare i feriti per ottenere una internazionalizzazione del valico.

 

Il braccio armato di Hamas ha sferrato ieri sera un nuovo attacco sparando una salva di razzi verso le città israeliane di Ashdod e di Ashqelon. Altri razzi erano stati sparati in precedenza. Non ci sono stati danni o feriti. Il numero complessivo dei lanci da Gaza è comunque calato in maniera significativa ma ciò non ha impedito a diverse compagnie aeree statunitensi ed europee di sospendere i voli per Tel Aviv, chi a tempo indeterminato e chi solo per poche ore. Non calano d’intensità invece i raid aerei israeliani e i cannoneggiamenti. In via Baghdad a Shujayea ieri sono stati estratti altri cadaveri, rimasti sotto le macerie da domenica scorsa. I morti palestinesi ieri sono stati una sessantina, in totale 616 e 3750 i feriti. Il Canale 10 israeliano ha confermato che la matricola del soldato disperso, Oron Shaul, corrisponde a quella dichiarata domenica da Hamas che afferma di aver fatto prigioniero il militare. Ieri è stata comunicata la morte di altri due soldati (sono una trentina in totale). Israele però va avanti e secondo i media locali l’offensiva durerà ancora per una o due settimane.