Andrebbe ammirato, il popolo greco, solo per la compostezza con la quale sta affrontando il periodo più difficile della sua storia recente. L’allarme lanciato dai banchieri su una possibile crisi di liquidità all’inizio della prossima settimana (altra ingerenza indebita per condizionare l’esito del referendum?) ha avuto come effetto immediato un aumento delle code agli sportelli. Ma senza che tutto ciò si traduca in avversione contro il governo. Anzi, la grande manifestazione di venerdì sera ha mostrato l’enorme popolarità di cui gode ancora Alexis Tsipras.

Sotto il sole rovente di mezzogiorno, un pensionato baffuto aspetta diligentemente che arrivi il suo turno a una delle due banche che affacciano sulla piazza di Kypseli. Con altrettanta calma, attende di andare al seggio domattina e votare tranquillamente no perché «siamo in una situazione orribile e non c’è niente di peggio rispetto al punto in cui ci hanno portato gli europei». Non l’Unione europea, né la troika o più genericamente l’Europa: proprio gli europei, dice. Una signora bionda, in fila subito dietro di lui, dissente: «Non sono d’accordo, ci hanno portato fin qui i signori Tsipras e Varoufakis. L’Europa fa il suo lavoro, noi non abbiamo fatto il nostro».

Nel piccolo, casuale e senza alcuna pretesa di completezza mini-sondaggio che compio tra le strade di questo quartiere ultrapopolare di Atene alla vigilia del referendum, sarà l’unica persona a esprimersi decisamente a favore del sì. Kypseli, 50 mila abitanti sparpagliati in anonimi palazzoni, non è un quartiere operaio e neppure della borghesia arricchita, non è la Exarchia degli hipster e degli anarchici ed è fuori da ogni rotta turistica. È un quartiere di quella classe media che la crisi ha travolto e oggi è abitato da molti immigrati. Qui, in un condominio uguale agli altri di un blocco di sette, a metà di una stradina che è meglio non nominare per ragioni di privacy, vive tuttora, con la moglie Betty Batziana e i due bambini, un inquilino illustre: il premier greco Alexis Tsipras.

Quelli raccolti a casaccio in una mattina di vigilia elettorale sono, dunque, gli umori di qualche vicini di casa del premier greco. Sissi è una signora di mezza età che trovo lungo la strada a discutere con alcuni abitanti del posto proprio del voto di oggi. Dice di essere una sostenitrice del Kke, il partito comunista all’opposizione di Syriza che propone di annullare la scheda con un doppio no «da sinistra»: al piano dei creditori e al governo Tsipras che ha sempre visto come il fumo negli occhi. Ma questa volta Sissi non è d’accordo con loro: «Sono troppo dogmatici», dice. Gli altri paiono approvare.

La Grecia è un paese che ama vivere di politica e non è difficile vedere, in questi giorni, persone che si accapigliano commentando i giornali appesi in fila davanti alle edicole come bucato messo ad asciugare. Il quartiere di Kypseli non fa eccezione. Ai tavolini usurati del vecchio bar della piazza una decina di uomini sulla sessantina discute accanitamente bevendo birra e fumando. Improvvisano volentieri comizi a uso e consumo di giornalista e il tutto termina con inviti a bere e pacche di duratura amicizia. Hanno davanti il quotidiano del Kke Rizospastis, ma ancora una volta quello che dicono non è in linea con i voleri del Partito: «In questo momento l’Europa è una dittatura finanziaria. Ci hanno portato in una via senza uscita, i nostri negoziatori hanno sbagliato per mancanza d’esperienza, sono stati presi in giro. Avrebbero dovuto fare questo referendum un mese fa», dice Nikos, che pur criticando riconosce la buona volontà del governo: «A Tsipras è venuto persino l’herpes a causa dello stress». Voteranno tutti no, anche se uno di loro ironizza sul fatto che «noi possiamo prendere solo 60 euro al giorno, mentre i deputati prendono tutto lo stipendio». Sotiris pensa che «è stato sbagliato dall’inizio entrare nell’Unione europea», ma non annullerà la scheda come vuole il Kke perché questo significherebbe tornare alla dracma e lui è contrario, perché la Grecia importa più di quanto esporta e questo creerebbe grandi problemi.

All’edicola un’anziana signora legge i titoli dei giornali, soffermandosi in particolare su quelli più allarmistici sui risparmi che andranno in fumo. Non è originaria del quartiere, viene dalla Laconia (la regione di Sparta) e a sorpresa, con gentilezza e il sorriso sulle labbra, dice che «hanno spaventato molto la gente». Lei voterà no: «Dobbiamo credere a Tsipras, è il nostro primo ministro. Altrimenti a chi crediamo?» Si intromette una passante: «Quello che ci interessa è che si salvi la nostra patria». Meno propensi a parlare sono invece i negozianti, che non vogliono esporsi. Solo una giovane lavoratrice di un panificio commenta: «Qualsiasi cosa accada siamo perduti. Non credo che usciremo dall’euro, ma ci saranno altri Memorandum».

In fila per ritirare i soldi in banca, un trentenne con t-shirt nera «agnostic front» dice che lui invece non voterà. Lavora come facchino per un hotel, sostiene di aver votato una sola vota, per Syriza nel 2012, ma la sua fiducia nel governo di sinistra è durata poco ed è ripiombato nell’astensionismo: oggi pensa che Tsipras faccia parte anche lui della casta dei vecchi governanti ed è su posizioni decisamente anti-politiche. Alla fine, auspica un governo di unità nazionale che riprenda le trattative con l’Europa.

Altra banca, altra fila. Una ragazza è venuta a ritirare la pensione di sua madre, lei invece non lavora e non ha alcun sussidio di disoccupazione. «Sicuramente le cose devono cambiare, vogliamo stare tutti meglio. Però una che va in giro firmata Chanel non può spiegare agli altri in che modo devono vivere», dice con un chiaro riferimento a Christine Lagarde, capo del Fondo monetario internazionale. Anche lei voterà no.