Houston è sott’acqua; al posto di gran parte della quarta città americana, nelle parole di un dirigente della croce rossa con 40 anni di esperienza, c’è un lago delle dimensioni del lago Michigan.

Ieri si contavano 7mila sfollati ospitati dei centri di accoglienza di emergenza,  ma le autorità prevedono che possano facilmente salire a breve fino a 30mila.

IL PERSONALE della protezione civile, l’assistenza federale e molte agenzie locali e statali si adoperano ancora per trarre in salvo le persone in pericolo imminente ma le linee sono sopraffatte e spesso i salvataggi sono lasciati a volontari, vicini, semplici cittadini come quelli della «Cajun navy» una brigata di soccorritori volontari, ovvero proprietari di imbarcazioni da diporto che si sono incolonnati dalla vicina Louisiana con le barche a traino per assistere nel trasporto di vittime bloccate  in case allagate o su tetti.

Mentre la pioggia continua a cadere, molte vittime affidano da domenica i propri Sos a Twitter, pieno di richieste di aiuto di persone che hanno esaurito viveri, non possono muoversi, hanno bambini piccoli e implorano ai soccorsi di venire.

Immagini di anziani e bambini a bagno nell’acqua  che ha invaso le loro abitazioni sono diventate iconiche e virali.
A dodici anni da quello che devastò la vicina New Orleans, l’uragano Harvey è una Katrina al rallentatore che promette di replicarne o quasi le dimensioni del disastro umano.

HARVEY SI È ABBATTUTO sulla costa del Golfo fra Corpus Christi e Galveston  sabato con la forza di un uragano di categoria 3, con venti cioè di 200 km all’ora; meno dunque delle raffiche da oltre 300 km/h di Katrina (categoria 5) ma l’impressionante perturbazione era più estesa, tanto da occupare con il proprio vortice praticamente l’intero Golfo del Messico, e pregna d’acqua.

Nelle prime 48 ore Harvey ha rovesciato su parti della metropoli texana oltre un metro di pioggia. Da allora è sostanzialmente stazionario e continua a produrre pioggia torrenziale su un’area ormai satura e allagata.

La città – prototipo di sprawl a bassa densità che si estende su una suburbia di 1500 km quadrati – è edificata su una grande depressione, una vasta rete geo idrica naturale di paludi bonificate e bayou acquitrinosi  ed è stata presto sopraffatta. Il danno era stato previsto, ma solo alcune località limitrofe minori erano state evacuate.

Il sindaco ha ammesso che non esiste un piano che possa ragionevolmente evacuare una città di 10 milioni di abitanti in tempi utili.

NON CI SONO STATI I MORTI (più di 1.200) registrati a New Orleans dove la tragedia fu aggravata dalla colpevole ignavia con cui decine di milioni di diseredati,  quasi interamente afroamericani, vennero abbandonati al proprio destino.

Ma le dimensioni «bibliche» del diluvio universale di Houston promettono di essere preludio ad una catastrofe civile destinata a esplicitarsi lungo le prossime settimane, mesi ed anni in cui si dovrà tentare di ricostruire un’infrastruttura devastata e le centinaia di migliaia di vite messe sottosopra.

E IN UN CERTO SENSO Houston è prefigurazione più inquietante del futuro prossimo venturo. Si tratta infatti del terzo evento alluvionale «epocale» sofferto dalla città negli ultimi 18 mesi. A detta di scienziati ed esperti, una sicura indicazione di un new normal in un epoca sempre più in balia di fenomeni meteorologici ingigantiti dal mutamento climatico.

La disfatta di Houston conferma le preoccupazioni più gravi sull’instabilità climatica in zone più vulnerabili del pianeta destinate, secondo ogni pronostico, a produrre una nuova mastodontica ondata di profughi climatici.

Ancora una volta un disastro «naturale» sottolinea le responsabilità politiche, in modo ancor più marcato e didascalico in Texas dove la calamità si  è abbattuta su uno Stato storicamente controllato da interessi petroliferi  e caposaldo del partito «negazionista».

L’EX GOVERNATORE Rick Perry, oggi ministro dell’energia di Trump, non ha mai nascosto il proprio scetticismo verso la soverchiante evidenza scientifica sull’effetto serra.

L’attuale amministrazione d’altronde è saldamente in mano alle lobby degli idrocarburi (compreso Scott Pruitt, il direttore della Epa preposta alla tutela dell’ambiente, negazionista convinto e già avvocato dell’associazione dei produttori di petrolio).

Dopo aver dichiarato lo stato d’emergenza, ieri Trump ha visitato lo Stato per «valutare l’entità del danno». Ma il  presidente che ha unilateralmente stracciato il protocollo di Parigi ha soprattutto usato l’occasione a proprio beneficio politico.

Intanto ha usato l’uragano come copertura  per graziare il suo amico Joe Arpaio, il sadico aguzzino che come sceriffo in Arizona ha per anni torturato generazioni di prigionieri e perseguitato senza pietà i cittadini  di estrazione ispanica prima di venire condannato per abuso di potere.

CON DUE O TRE GIORNI di anticipo sull’arrivo della tempesta ha poi dato vita ad una serie di tweet autocelebrativi in cui ha vantato livelli «senza precedenza» di preparazione del governo,  compresi video-giornali  dei suoi incontri con i capi della protezione civile montati su marce militari.

Nuove paradossali istanze della squilibrata mitomania che passa per comunicazione politica di questa Casa bianca e che continua a inorridire il paese, pur apparentemente sortendo l’effetto desiderato su quel terzo circa di americani che sembrano ormai costituire lo zoccolo calcificato e immune del sostegno trumpista.

Non è stato però abbastanza per esorcizzare del tutto il fantasma di Katrina. Quel disastro contribuì al declino della presidenza Bush, alle conquiste midterm dei democratici l’anno successivo e in parte alla vittoria di Obama nel 2008.

Ora mentre Trump continua a promettere il muro di confine da far pagare ai Messicani, da Città del Messico  giungono offerte di assistenza al Texas e i sindaci sono costretti ad assicurare ai latinos alluvionati che non verranno deportati dopo essere stati soccorsi.

AL DI LÀ DEGLI SQUILIBRI trumpiani, l’alluvione «millenaria» di Houston getta un ombra lunga sul futuro della regione e di molte altre comunità costiere.

La commissione sulle alluvioni in Louisiana, ad esempio, ha recentemente concluso che lo Stato invece di investire in inutile difese debba offrire incentivi di 20mila dollari per indurre gli abitanti ad abbandonare le zone più a rischio.