«Non c’è risposta». La replica di Berlusconi al cosiddetto «ultimatum di Renzi», che scadeva ieri sera alle 21, è la più gelida. Silvio Berlusconi si è chiuso nel silenzio, accusa dolori a un occhio e li usa come alibi per non comunicare con nessuno. Ha convocato per oggi alle 17 l’ufficio di presidenza azzurro e persino gli uomini di Verdini, i più pronti ad accettare ogni sorta di accordo, ammettono che di dare risposte alla vigila del summit non se ne parla nemmeno. Tanto più che quella di oggi non sarà affatto una riunione facile. Al contrario: ieri il capo dei deputati Brunetta e quello dei senatori Romani hanno spiegato al Sommo che nei loro ranghi l’ammutinamento è ormai di massa e che proporre l’accordo oggi significherebbe mettersi a rischio di andare in minoranza.

Renzi si prepara ad andare avanti come se nulla fosse. Ultimatum? E chi ha mai usato tanto ruvida parola? Sono stati i giornali, si sa che amano il colore, mica lui. Il velocista di palazzo Chigi aveva solo avvertito che oggi stesso avrebbe proceduto a far partire l’iter della legge, e proprio questo si accinge a fare. Solo che non si tratterà di incardinamento e nomina dei relatori. Nulla di così fragoroso. Alle 13 a palazzo Madama l’ufficio di presidenza fisserà l’agenda. Per entrare nel vivo del viluppo ci vorrà del tempo: utile per ricucire con Silvio senza scucire con Angelino. Missione difficile. Per accettare il premio di maggioranza assegnato alla lista Silvio Berlusconi pone infatti due condizioni: garanzia di evitare le elezioni in primavera e soglia di sbarramento alta.

Sul primo fronte il signore d’Arcore ha conquistato parecchio terreno dopo l’uscita a sorpresa di Giorgio Napolitano per interposto Folli. Il progetto di elezioni in primavera si basava proprio sulla permanenza del due volte presidente al Quirinale almeno fino a dopo il voto. Così sarebbe stato il nuovo parlamento, con la dissidenza Pd ridotta all’osso, a eleggere il successore. La mossa del capo dello Stato ha rovinato il disegno, sempre che Renzi lo abbia mai davvero covato. A scegliere il prossimo uomo del Colle sarà infatti questo parlamento, e la sopravvivenza del Nazareno diventa quindi tanto fondamentale per Renzi quanto per Berlusconi, pena il ritrovarsi sul Colle qualcuno inviso a entrambi. Non a caso la ministra Boschi assicura che l’articolo 2 della legge, quello che la rende valida solo per la camera, non sarà toccato. In teoria si potrebbe votare per le due camere con sistemi diversi, ma un’ipotesi del genere, con i fucili della Ue puntati sull’Italia sarebbe probabilmente un azzardo troppo estremo persino per Matteo il giocatore.

Quanto alla soglia di sbarramento, Fi non può andare in alcun caso sotto il 4%. Così metterà le formazioni minori, Ncd e Fratelli d’Italia, di fronte al dilemma tra tornare all’ovile o scomparire e la lista riunificata di centrodestra correrebbe almeno per il secondo posto. Invece con una soglia al 3% la diaspora sarebbe sancita una volta per sempre, e l’ex Invincibile Armada azzurra finirebbe superata dall’M5S, e forse anche da Salvini.

Matteo Renzi è dunque entrato ieri sera al primo, affollato vertice di maggioranza della sua era deciso a ottenere una soglia del 4% (magari partendo dal 4,5% per mercanteggiare come suole) e una quota di eletti col proporzionale del 70%. Una volta levata l’ancora, punta a pilotare i tempi in modo da far coincidere il voto sulla legge elettorale con quello sul nuovo presidente, così da usare il secondo come arma per condizionare Berlusconi nel primo.

Il problema è che l’Ncd non ne vuole sapere. Alfano lo ha detto a quattr’occhi a Renzi, poi il capogruppo Cicchitto ha formalizzato con apposita dichiarazione: «Renzi deve fare i conti con la sua maggioranza, sennò ci sarà un problema serio». Per l’Ncd una soglia del 3% è anche troppo alta. In queste condizioni Renzi, se non riesce a domare i suoi ribelli prima delle 13 di oggi, rischia di non riuscire neppure a fissare l’agenda dei lavori del senato sulla legge elettorale. Senza contare la partita sotterranea che giocano i ribelli forzisti, decisi a rallentare tutto e di parecchio, con Silvio o contro Silvio.

Per non parlare di quella con i dissidenti piddini sul piede di guerra non solo sul fronte della legge elettorale, ma anche su quello del Tfr e delle tasse sui fondi pensione. Ieri hanno fatto piovere sulla legge di stabilità una tempesta di emendamenti costringendo il premier-segretario a convocare per mercoledì la direzione come arena per l’ennesima resa dei conti. Per entrambi i soci del Nazareno si preparano giornate lunghissime.