Il patto del Nazareno è morto. Il consigliere di Berlusconi, Toti, prova a minimizzare: «Il patto è in vita ma il suo spirito è più debole». La vicepresidente dei senatori Annamaria Bernini preferisce definirlo «interrotto». Sono giochi di parole e non c’è nessuno, dentro Forza Italia, che non lo sappia: la fiducia tra i soci è defunta ieri, nell’attimo stesso in cui Renzi, di fronte ai suoi grandi elettori, ha formalizzato la candidatura di Sergio Mattarella, senza subordinate: «Se non dovesse passare, non ci saranno altre candidature del Pd».

Ancora più che nella scelta di non votare per Mattarella neppure alla quarta votazione, anche se mantenendo la scheda bianca invece che con un nome alternativo «in segno di rispetto», la fine dell’amore viene registrata quando Berlusconi, va incontro al senatore del Gal D’Anna, col quale l’estate scorsa era quasi arrivato alle mani, gli stringe la mano e ammette: «Su Renzi avevi ragione tu».

Poi incrocia Minzolini e con lui i modi cambiano, ma non la sostanza: «Sei uno stronzo, Augusto, però avevi ragione». Del resto, lontano dalla ribalta, l’ex socio tradito si lascia andare a esplosioni ben più fragorose: «Renzi ci ha traditi. Il patto non c’è più e ora avranno difficoltà sulle riforme e anche sulla legge elettorale».

Sulla carta la maggioranza di governo, quella con l’Ncd che a sua volta voterà anche alla quarta scheda bianca, non è scalfita: «Sono piani diversi», ripete Alfano seguito a ruota dai suoi ufficiali. Parole vuote: il ministro degli Interni di un governo che vota contro il capo dello Stato indicato dal premier è uno strappo troppo profondo e lacerante per non lasciarsi dietro ferite aperte.

Tutto questo Renzi deve averlo messo nel conto, ma ha scelto di rischiare pur di salvare l’unità del suo partito.

La drastica inversione di rotta è maturata nel corso degli ultimi giorni, suggerita da una somma di fattori: il calo nei sondaggi, la ribellione aperta della minoranza, la vittoria di Tsipras. Elementi molto diversi ma convergenti nel rendere plausibile lo spettro di una scissione. Ma fino all’ultimo e anche oltre, Renzi ha anche puntato sull’ennesimo cedimento di Berlusconi. Non è escluso che ci speri ancora. «Alla fine Berlusconi non potrà che votare anche lui Mattarella», ripetevano, poco prima che la votazione avesse inizio, gli esponenti del Pd.

Non era una speranza del tutto campata per aria. Berlusconi, in quelle stesse ore, era davvero a un passo dalla resa. Dopo una girandola vertiginosa di incontri e colloqui, l’aveva quasi proposta ai suoi grandi elettori: «Nulla da dire sul nome di Sergio Mattarella, ma questo non era il modo con cui avremmo voluto eleggere il presidente e non era quello che mi aveva garantito Renzi. Tuttavia, piuttosto che farci spingere ai margini, forse è meglio votare anche noi per Mattarella e intestarcelo».

Poi qualcosa o qualcuno gli fa cambiare drasticamente idea. Prima spedisce nella ressa del transatlantico il capo dei senatori Romani, con un messaggio opposto a quello che tutti si attendono: «Non voteremo per Mattarella». Poi riconvoca, a votazione già aperta, i suoi grandi elettori e spara a palle incatenate, con giudizi molto più aspri di quelli ufficiali: «È sempre stato un nostro nemico».

Più tardi chiamerà il candidato al telefono, spiegherà la scelta di non votarlo adducendo solo «il metodo», ed è ovvio che cerchi da subito un contatto positivo col probabile presidente. Ma di illusioni Berlusconi non se ne fa alcuna.

Come si spiega la sua svolta?

Con la rivolta dei suoi e con l’irrigidimento dell’Alfano ritrovato, certo, ma soprattutto con l’intervento dell’azienda. Confalonieri il pacifico ha consigliato di non votare mai per Mattarella. Pare che persino la figlia Marina si sia attaccata al telefono per bloccare il voto a favore del nemico giurato.

Renzi ha continuato a sperarci nonostante tutto. In serata la ministra Boschi ripeteva che «Fi e An non hanno chiuso del tutto», solo per sentirsi rispondere a stretto giro dai capigruppo azzurri con l’invito «a correggere queste errate dichiarazioni: abbiamo deciso per la scheda bianca anche alla quarta votazione».

Se la partita finirà come prevedibile, sul terreno resteranno così due morti e un ferito. La vittima principale è Berlusconi, che ha regalato a Renzi una legge elettorale suicida in cambio di nulla. In un vero partito, si sarebbe dimesso ieri sera, e la guerra interna è già scoppiata, con Fitto che attacca chiedendo «l’azzeramento totale del gruppo dirigente». La seconda vittima è Alfano, con un partito già spaccato tra chi vorrebbe ricucire ciò che non è ricucibile e i duri.

Ma anche Renzi è a sua volta ferito seriamente. Sinora camminava sul velluto perché Fi lo sosteneva quotidianamente al Senato e Napolitano, per salvare la patria, firmava decreti indigeribili. Da sabato, salvo sorprese, il Senato diventerà una giungla e sul Colle il premier scoprirà di aver insediato un presidente poco disposto a chiudere gli occhi.