Tra i personaggi della letteratura scandinava del secondo Ottocento entrati a far parte dell’immaginario collettivo, molte figure femminili consapevoli, indipendenti, ribelli, lottano per conquistare un proprio spazio: dalla ibseniana Nora di Una casa di bambola alla Signorina Julie di Strindberg. Nella letteratura danese, una donna tra le più memorabili, benché oggi forse meno conosciuta di altre, è Marie Grubbe, protagonista del romanzo omonimo ora riproposto da Carbonio in una nuova traduzione di Bruno Berni (pp. 227, e 16,00), il cui autore, Jens Peter Jacobsen, venne stroncato dalla tubercolosi a soli trentotto anni, dopo che i suoi interessi si erano divisi tra scienze naturali e vocazione letteraria. Laureatosi in botanica all’università di Copenaghen, Jacobsen pubblicò una serie di articoli scientifici che diffusero in Danimarca le teorie di Darwin, di cui egli stesso tradusse L’origine delle specie e L’origine dell’uomo. Sul versante letterario, erano gli anni del rinnovamento noto come «breccia moderna», introdotto dall’adesione al Naturalismo promossa dal celebre critico Georg Brandes. Partendo da modelli francesi, si cercava una letteratura attenta a questioni sociali e attuali, che discutesse i problemi.

I frutti di una vita breve
Sostenitore convinto del libero pensiero, Jacobsen si trovò in sintonia con le nuove idee circolanti, il cui influsso è evidente in primo luogo nella considerazione dell’essere umano come elemento della natura, guidato dai propri istinti; tuttavia, la sua opera non si esaurì nella traduzione di concetti teorici già esistenti. La profonda indagine dell’animo umano e il minuzioso studio stilistico gli assicurarono ammiratori anche fra gli scrittori delle generazioni successive, soprattutto di lingua tedesca, fra i quali Stefan George, Rainer Maria Rilke, Thomas Mann.
La sua breve vita gli consentì una produzione piuttosto esigua – pochi racconti, una raccolta di poesie e due romanzi – oggi comunque considerata fra i classici della letteratura danese moderna.
Pubblicato nel 1876, Marie Grubbe è ispirato a una figura storica vissuta nella seconda metà del Seicento, epoca che Jacobsen ricostruì con rigore scientifico in anni di studio e di ricerche d’archivio. Il genere letterario del romanzo storico, che tanta fortuna aveva avuto nella precedente età romantica, è declinato in queste pagine in modo del tutto nuovo: in particolare, Jacobsen elimina la voce di un narratore giudice e interprete morale, per adottare lo sguardo distaccato dello scienziato, che osserva la realtà e la ripropone al lettore, cui è lasciata ogni valutazione sulla vicenda e i suoi protagonisti.
Sullo sfondo, la Danimarca del XVII secolo, travagliata da continue guerre con la vicina Svezia e dall’affermazione della monarchia assoluta, mentre sul piano sociale le nuove forze della borghesia e di una nobiltà di nomina recente insidiano i privilegi dell’aristocrazia tradizionale. A Jacobsen non interessa, tuttavia, tracciare un affresco epico di ampio respiro: come rivela il sottotitolo, «Interni del diciassettesimo secolo», la prospettiva prediletta è piuttosto quella dell’individuo che prevale sulla folla, dello spazio privato che domina quello pubblico. La critica ha notato come la narrazione proceda per quadri, quasi fermando il flusso del tempo su singoli momenti significativi, scene in cui Jacobsen ha l’occhio attento ai dettagli, anche minuti, sebbene le sue descrizioni non aspirino tanto a una visione esaustiva dell’ambiente, quanto a concentrarsi su particolari come un angolo di giardino, una tavola di osteria con i boccali degli avventori, i sontuosi abiti di una nobildonna. Con tratti essenziali, sempre attenti alle sfumature cromatiche, l’autore danese ricostruisce luoghi e personaggi che richiamano alla mente le scene d’interni e i ritratti della pittura barocca.

Alla porta della vita
Ma il fulcro del romanzo è altrove, nell’interiorità dei personaggi, nello scavo psicologico dell’individuo: prendendo spunto dalla realtà storica, Jacobsen sonda l’animo della donna protagonista attraverso le sue relazioni con mariti e amanti, sottolineando il suo pieno diritto alla realizzazione di se stessa, anche nella sfera affettiva e erotica. Inizialmente esposta alle costrizioni e alle aspettative della società del tempo, che lei stessa fa propri, Marie aspira al matrimonio come via per affermarsi socialmente e liberarsi dell’autorità paterna; ma l’interesse del romanzo non sta nelle rivendicazioni sociali, né nell’ottica proto-femminista che andava affermandosi al centro del dibattito pubblico. Il senso della vicenda va piuttosto colto nel desiderio di Marie di agire attivamente senza aspettare che altri le attribuiscano un ruolo, varcando «la porta della vita» invece di «rimaner fuori ad ascoltare le note della festa, non invitata, non richiesta, come una serva storpia», nelle sue stesse parole.
Guidata dai suoi istinti, senza aspettarsi ricompense, Marie conduce la sua lotta con la vita a modo proprio. Nelle dinamiche delle sue relazioni sentimentali, attraversa tutto lo spettro dei sentimenti legati all’esperienza amorosa – dal sogno fiabesco dei primi impulsi adolescenziali, alla voluttà, alla sofferenza, alla nostalgia, alla disperazione – concentrandosi in un rapporto con la propria psiche che dal punto di vista narrativo si articola in dialoghi, tecnica prediletta da Jacobsen, sia con altri personaggi sia con se stessa, anticipando il monologo interiore.