Se a Predappio il museo sul fascismo è ancora in itinere, a Milano, invece, è certo che sorgerà a breve il Museo nazionale della Resistenza. Lo ha annunciato il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, con il beneplacito del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dinanzi al sindaco Sala, ha infatti dichiarato una disponibilità complessiva di 17,5 milioni di euro. Sarà una struttura a sé, rispetto alla Casa della Memoria di via Confalonieri. Poiché sorgerà in piazzale Baiamonti, nella seconda piramide disegnata dall’architetto Herzog, di fronte a quella che già ospita la Fondazione Feltrinelli. Complessivamente, lo spazio disponibile sarà di 2.500 metri quadrati. Sui tempi per la realizzazione, non c’è ancora un calendario definitivo ma è plausibile che il procedimento prosegua di qui in avanti con relativa speditezza.

PARTNER DELL’INIZIATIVA saranno sia l’Istituto nazionale Parri, rete federativa degli istituti per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea della Penisola, sia l’Anpi. L’accelerazione sul piano decisionale è forse il dato più importante da rilevare rispetto alle discussioni, altrimenti sempre più inerziali, che da tempo si trascinano sul merito della memoria del fenomeno resistenziale, così come della presenza nel nostro Paese di un neofascismo di ritorno, che non ha esaurito la sua forza attrattiva.

Non di meno, Milano, che già cent’anni fa costituì una delle culle del nascente fascismo, così come poi fu una città fondamentale nella lotta per la Liberazione, sempre più spesso si rivela polo di riflessione, ma anche di innovazione, per ciò che riguarda le culture politiche del Novecento, così come nel merito del loro riversamento nella coscienza del presente. Facile immaginare che su questo progetto, già in discussione peraltro da tempo, si manifesteranno tante adesioni quanti distinguo critici, se non dinieghi e rifiuti. Rimane tuttavia il fatto che la vera differenza sarà giocata sul piano delle proposte culturali che il costituendo Museo riuscirà ad offrire, soprattutto alle generazioni più giovani. Una memoria puramente conservativa e celebrativa, peraltro disallineata dal confronto e dai vivaci scambi culturali che già da molto tempo accompagnano i circuiti museali europei, risulterebbe comunque perdente. Sarà quindi sui modi, oltre che sui contenuti, che il progetto misurerà la sua effettiva consistenza.

RIMANE POI IL DATO politico, che cerca comunque di segnare una controtendenza rispetto all’appiattimento di senso comune, quello che già da tempo ha dichiarato l’inessenzialità di un solido ancoraggio repubblicano e costituzionale all’antifascismo. Anche parlando da solide cattedre e pontificando da pulpiti augusti, in una recita delle litanie che dimentica il forte ormeggio sociale, prima ancora che politico e culturale, del rifiuto del fascismo. Nel passato così come oggi. Non c’è nulla per cui abbandonarsi ai facili entusiasmi ma, piuttosto, da registrare un punto di partenza su cui ricostruire un tessuto di linguaggi, idee ed esperienze che, in un museo, debbono obbligatoriamente transitare, se non si vuole che da subito nasca come un vuoto contenitore. Chi metterà concreta mano ai suoi contenuti, avrà un ruolo strategico in tale senso. Ma almeno una prima pietra si sta cercando di porla.