«È un furto comparabile al saccheggio del Museo di Baghdad: il più grave incidente della storia museale egiziana», inizia così la sua denuncia Emad Adly, l’archeologo dell’Istituto francese di archeologia orientale del Cairo. Adly fa riferimento all’irruzione della notte del 14 agosto scorso al museo egizio Mallawi di Minia. «Si è trattato di un’opera dei sostenitori di Morsi. Hanno lasciato il museo in uno stato di distruzione quasi totale: circa mille pezzi sono stati trafugati, mentre gli oggetti voluminosi che non potevano essere trasportati, sono stati fatti a pezzi e le sale sono state incendiate».

Secondo la ricostruzione dell’archeologo, il saccheggio è durato otto ore, anche gli uffici amministrativi sono stati depredati, tutte le vetrine sono in frantumi, svuotate del loro contenuto. «Non restano che descrizioni in inglese e arabo a terra. Le mummie sono ridotte in cenere all’interno dei loro sarcofagi, perché i predoni cercavano eventuali monili», continua Adly dopo un sopralluogo a Minia. Nell’attacco al museo è stato ucciso anche l’impiegato Salama al-Hafez, mentre il direttore del museo, Ahmad al-Sabur è stato ferito.

Il ministero per gli affari archeologici ha elaborato un rapporto dettagliato sullo stato in cui è stato ridotto il museo Mallawi. E così il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, ha espresso ieri preoccupazione per la «devastazione» di alcuni monumenti, durante i tragici scontri tra le forze di sicurezza e i sostenitori del deposto presidente, Mohamed Morsi. «L’inventario sugli oggetti rubati sarà consegnato all’Interpol, alle autorità doganali e ai principali centri museali del mondo. Mentre il governatorato di Minia ha chiesto a tutti i cittadini in possesso di informazioni sui beni trafugati di riferire alla polizia», prosegue l’archeologo.

Il museo Mallawi venne inaugurato da Gamal Abdel Nasser nel 1962, custodisce in particolare oggetti ritrovati tra il 1930 e il 1940 dall’archeologo Sami Gabra nel sito Tuna al-Gabal. La collezione è composta da statue di bronzo, maschere d’epoca greca, sarcofagi in pietra e legno, e poi papiri, vasi, monete di bronzo e d’argento.

Come se non bastasse, ora l’edificio è completamente abbandonato e in preda a ulteriori furti. I dieci guardiani e gli otto agenti della polizia del turismo se la sono data a gambe. In assenza di polizia, ora i bambini giocano tra gli oggetti rimasti nel cortile. Un giornalista locale del Masry al-Youm, racconta di partite di calcio tra i papiri. «Non ci sono barriere né controlli, da anni erano stati presentati progetti di riqualificazione e ristrutturazione mai portati a termine», spiega Emad. E così, il museo Mallawi era obiettivo relativamente facile per predoni, tombaroli e islamisti inferociti. Ma anche la magnifica e innovativa biblioteca di Alessandria è stata presa di mira nella stessa notte. «In quel caso, gli assalitori hanno distrutto l’ingresso esterno, ma i comitati popolari hanno impedito l’ingresso dei criminali», ci spiega Adly.

Il museo Mallawi si trova nel posto sbagliato, tra il Comune e il commissariato di Minia. Secondo alcuni politici locali, sono in corso transazioni nei vicoli del centro della città sul Nilo per rivendere gli oggetti trafugati. Mina Thabit, del partito dell’Iniziativa popolare ha chiesto ai suoi concittadini di non lasciarsi tentare da contrattazioni illegali. Ma nell’occhio del ciclone è ora il ministro dell’Archeologia, Mohammed Ibrahim, già incaricato negli ultimi due governi Ganzuri-Qandil, che ha minimizzato la portata del saccheggio.

L’intero governatorato di Minia è stato messo a ferro e a fuoco nei giorni scorsi. Raggiungiamo al telefono il farmacista cristiano Hani Ayoub: «L’intero quartiere intorno alla cattedrale di Amir Tadros è andato in fiamme. La basilica stessa potrebbe crollare da un momento all’altro. Un palazzo limitrofo per i senza tetto e alcune scuole copte sono andate completamente distrutte. Molti negozi di colleghi cristiani sono stati saccheggiati». Hany non ha dubbi che dietro ci siano le responsabilità degli islamisti. Un effetto dell’odio che è stato diffuso in questi giorni tra egiziani, dopo gli sgomberi forzati di Rabaa el-Adaweya che hanno causato 700 morti e le conseguente completa assenza delle forze di polizia.