«L’Italia volta pagina»: così il ministro Dario Franceschini aveva annunciato a dicembre 2014 la firma del decreto che ha istituito venti musei autonomi, staccandoli dalle soprintendenze. Il museo napoletano di Capodimonte è tra questi: da ottobre 2015 a dirigerlo c’è lo storico dell’arte francese Sylvain Bellenger, selezionato con un bando internazionale. Il compito assegnatogli dalla riforma è guidare come un manager un istituto, con un suo cda e comitato scientifico, «dotato di autonomia, che svolge funzioni di tutela e valorizzazione delle raccolte». La norma sottolinea: «I nuovi direttori dei musei elaboreranno i progetti di valorizzazione per consentire un’immediata messa a gara dei servizi aggiuntivi».

Capodimonte è una macchina del tempo. La reggia venne realizzata a metà Settecento da Carlo di Borbone, al suo interno sono custodite la collezione Farnese (che re Carlo ereditò dalla madre, Elisabetta Farnese) con i capolavori di Raffaello, Tiziano, Parmigianino, Bruegel il Vecchio, El Greco; la collezione d’Avalos e la collezione Borgia; gli appartamenti reali e la galleria napoletana con le opere che una volta decoravano le chiese cittadine (tra cui La flagellazione di Cristo di Caravaggio). A questo nucleo si è aggiunto l’ottocento e, più recentemente, la sezione di arte contemporanea grazie, soprattutto, alle mostre organizzate da Lucio Amelio a partire dalla fine degli anni ’70 e poi da Graziella Lonardi Buontempo. Un museo straordinario ma nel 2015 ha fatto registrare appena 144.694 visitatori. Eppure per la mostra Civiltà del Seicento, nel 1985, vennero staccati 900mila biglietti; per Caravaggio. L’ultimo tempo, nel 2005, ci furono oltre 500mila visitatori in quattro mesi.

Il museo funziona a scartamento ridotto, manca il personale. Rispetto alla pianta organica del 2010, c’è una carenza di addetti del 30%, l’età media è di 55 anni. Nel 2015 Franceschini annunciò «il piano delle dotazioni organiche del personale» per aiutare i venti musei diventati autonomi: per Capodimonte si prevedeva entro novembre 2015 la presenza di 160 custodi. A oggi ce ne sono in servizio 118. Il prossimo anno andranno in pensione circa sette dipendenti e allora la situazione peggiorerà ancora. Rispetto alle 35 ore a settimana di vigilanza previste da contratto, ogni dipendente accumula dalle 200 alle 400 ore di mancati riposi. In base alla norme, dovrebbero sorvegliare due sale ciascuno ma sono costretti a prendere in carico dalle quattro alle sei sale e anche così si riesce a tenere aperti, in media, il primo piano e metà del secondo sui tre totali. Il prossimo mese si potrebbe arrivare a metà per entrambi i piani. Le assunzioni dovrebbe farle il ministero dei Beni culturali con i concorsi (ma le assunzioni nella pubblica amministrazione sono bloccate) oppure attraverso Ales spa (società in house del Mibact) con contratti precari. L’arrivo di nuovo personale non sembra nei programmi della direzione: «Capodimonte non è sotto organico. Occorre forse ripensare a un organigramma».

Chi arriva al museo trova la facciata circondata da un cordone e i cortili interni transennati: i cornicioni sono pericolanti, si sta provvedendo a metterli in sicurezza. Gli ultimi lavori erano stati fatti nel 1995. A maggio il governo ha stanziato 30 milioni per il restauro della cinta muraria, il nuovo allestimento delle sale, il completamento degli impianti e il miglioramento dei collegamenti con la città. Dal 29 aprile è entrata in funzione una navetta privata che connette Capodimonte con il centro (8 euro andata e ritorno, 12 con biglietto per il museo) ma per ora i risultati non sono straordinari.

L’autonomia ha consegnato in dote al museo anche il Real Bosco di Capodimonte: 134 ettari, 400 entità vegetali, 16 edifici borbonici che rispondevano alle necessità dell’azienda agricola che serviva la reggia (si coltivava e si allevavano gli animali con annesso caseificio) e dell’attività venatoria del re. Anche il bosco è una macchina del tempo: dai Borbone è passato ai Savoia, con la repubblica è stato assorbito dal Demanio, in alcuni edifici negli anni ’50 vennero alloggiati i profughi istriani. Nel tempo il demanio ha affittato gli spazi a privati. Nel 2010 il patrimonio è passato alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici che ha liberato gli edifici e ottenuto nel 2012 un finanziamento di 10milioni 700mila euro (fondi Fesr) per ristrutturarne dieci, tra cui la Torre, la Fagianeria, la Capraia, il Cisternone, il Cellaio e l’ex Eremo dei Cappuccini.

Il progetto prevede il recupero della vocazione produttiva del sito: terreni da destinare alle coltivazioni con forme di gestione pubblico-privato; percorsi formativi, in collaborazione con gli atenei campani, le associazioni e le aziende di settore; promozione del tessuto produttivo attraverso l’innovazione creativa dei processi tradizionali. Le prime sperimentazioni sono state attivate con Slow Food, nuovi partner sarebbero dovuti arrivare tramite bandi pubblici. Poi però la riforma Franceschini ha staccato il bosco dalla Soprintendenza assegnandolo al museo e il progetto si è bloccato.

L’architetto Guido Gullo è l’ex direttore del Real Bosco di Capodimonte e tra i progettisti del piano di rivalutazione: «Sette edifici sono pronti, mancano solo le attrezzature, ma sono abbandonati da nove mesi, nessun bando è stato fatto, non si capisce il direttore Belleger cosa voglia fare del progetto. Di questo passo le opere realizzate saranno vandalizzate. Ha spostato il personale di sorveglianza del bosco al museo, stanno crescendo le erbacce, ha chiuso la sala da cui si sorvegliano gli allarmi antincendio. Ripete che il problema sono i trasporti, ma al bosco abbiamo più di un milione di visitatori all’anno». Sulla carenza di organico: «Attraverso le procedure di somma urgenza utilizza personale esterno, sul sito del museo (in allestimento ndr) non viene pubblicato quasi niente, nonostante le norme sulla trasparenza. Lo scopo della riforma Franceschini è trasformare i musei in fondazioni da gestire attraverso le società in house dei ministeri, assumendo personale sottopagato senza passare per i concorsi pubblici».
L’unica novità annunciata dalla direzione che riguarda il bosco è l’accordo con Costa Crociere. Alla presentazione alla stampa, il personale della società di navigazione ha allontanato dal parco pubblico una scolaresca di Scampia per non intralciare la manifestazione. I croceristi (210mila in transito all’anno) potranno visitare il museo, pedalare lungo i viali e pranzare nel ristorante che si sta allestendo. «Avevamo realizzato un infopoint – prosegue Gullo -, adesso è il deposito delle bici di Costa Crociere. Bellenger ha fatto installare due porte per un campo di calcetto in un sito Unesco, dichiarato il parco pubblico più bello d’Italia nel 2014».

A dieci mesi dall’insediamento, il direttore sta lavorando a un diverso allestimento della collezione permanente. La sezione del contemporaneo è stata sottoposta a un restyling con l’unica novità di Io e Zeus di Cy Twombly, in prestito temporaneo dalla Galleria Karsten Greve di Colonia. A ottobre arriverà La suonatrice di liuto di Vermeer dal Metropolitan Museum di New York («credo molto nelle occasioni di esporre un solo capolavoro» ha spiegato Bellenger), nel 2017 una mostra su Picasso.