La memoria è un affare parecchio complicato: facile da confondere, difficile da preservare. Un centro studi dedicato a «dittature e totalitarismi» in quel di Predappio, paese natale di Benito Mussolini, è un fatto che non può lasciare indifferenti. Nessuno sul fronte antifascista e democratico nega l’utilità di un istituto di ricerca storica, il problema è che questo paese di seimila abitanti in provincia di Forlì è un luogo pressoché mitologico per la fascisteria italiana: per capirlo non è necessario venire da queste parti il 29 luglio, data di nascita del Duce, il 28 aprile, data della sua morte, o il 28 ottobre, anniversario della Marcia su Roma, quando in centinaia marciano dalla piazza principale al cimitero; basta farsi un giro in un weekend qualsiasi, quando il ‘turismo nostalgico’ non è certamente un fenomeno di massa, ma è qualcosa di assolutamente palpabile. E il discreto viavai di persone che entrano e escono dai tanti negozi di paccottiglia fascista è un indicatore abbastanza chiaro della situazione: non necessariamente le teste rapate brutte, sporche e cattive che agitano questa vigilia di campagna elettorale, ma anche «distinti» signori che non disdegnano una capatina tra i luoghi d’infanzia di Mussolini e tornano a casa con portachiavi, bottiglie di vino, calendari o accendini con la sua effigie sopra.

Nella giornata di ieri, oltre alla discussa presentazione del Centro Studi, a Predappio è stata inaugurata anche una mostra sul Ventennio: niente di apologetico, ma tra i visitatori i cosiddetti nostalgici non erano affatto pochi, in aggiunta alla ovvia e piuttosto composta rappresentanza istituzionale.

 

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IL MUSEO nell’ex Casa del Fascio consisterà in una specie di catalogo delle atrocità novecentesche spalmato su 2.700 metri quadrati di edificio in puro stile razionalista: una sezione sarà anche dedicata al ventennio fascista, con il sindaco Giorgio Frassinetti (Pd), il quale non sembra molto preoccupato dalla possibilità a ben guardare concreta che questo centro possa diventare un luogo di culto per neofascisti e affini.

D’altra parte, è difficile rinunciare a un’opera che muoverà quasi cinque milioni di euro, cifra colossale per un comune minuscolo come il suo.

IL DIBATTITO FINISCE con il coinvolgere anche gli storici, così se da una parte Enzo Collotti su queste pagine ha sostenuto che fare un centro studi a Predappio «rischia di renderlo prigioniero del luogo, che resta inevitabilmente evocativo, simbolico e celebrativo e che, ad onta delle migliori intenzioni, non può non ricondurre ad una visione riduttiva del fascismo come mussolinismo»; dall’altra Gianpasquale Santomassimo commenta che combattere gli ultimi reflussi fascisti a colpi di codice penale e proibizioni potrebbe essere quantomeno sconveniente: «La sinistra liberal in Occidente tende a perseguire penalmente tutte le opinioni che contrastano con la sua visione del mondo, nella politica, nella biopolitica, nel costume. Senza rendersi conto che il vento può cambiare e si può rimanere a propria volta vittime di provvedimenti persecutori». Wu Ming 1, dal canto suo, fa notare che in ogni caso «il museo del fascismo di Predappio, prima ancora di esistere, è già a suo buon diritto una submacchina ideologica. Che genere di submacchina? Un generatore automatico di cliché postfascisti», cioè un meccanismo in cui anche chi si crede immune da certe cose, se non antifascista tout court, finisce per favorire il clima effettivamente diffuso di tolleranza per l’intolleranza, e la sottovalutazione di decine e decine di episodi violenti avvenuti negli ultimi anni da parte di gruppi neofascisti in giro per l’Italia.

MENTRE I BLITZ intimidatori ai danni di giornali, associazioni antirazziste e cattoliche di base da parte di gruppi di estrema destra continuano a riempire le cronache, intanto proprio a Forlì, venerdì sera, Giovanni Cotugno della Fiom è stato colpito alla testa da una bastonata mentre protestava contro la presenza di un banchetto di Forza Nuova in città. Nelle stesse ore, a Ravenna, si discute sulla cancellazione di Mussolini dall’albo dei cittadini onorari. Non tutti sono d’accordo: c’è chi sostiene che un atto del genere potrebbe essere un modo per «cancellare la nefanda memoria del fascismo».