Nel suo film “La promessa” (1995), uno dei più interessanti sul tema del Muro di Berlino, Margarethe Von Trotta racconta, con la sobrietà e l’eleganza che la distinguono, la storia d’amore di una donna e di un uomo separati dalla divisione della loro città in due. Due esistenze sospese in un sentimento erotico che non ha uno spazio per vivere, ma non per questo si spegne. I muri sospendono la nostra vita, interrompono brutalmente le nostre relazioni, affidano i nostri sentimenti e pensieri alla nostalgia. Nostalgia di un futuro che non ci sarà, rinchiuso nel passato che, presentendolo, lo prometteva.

I muri fisici riflettono i muri mentali invisibili che si insinuano tra di noi, asservendoci, senza che ce ne rendiamo conto. Creano modi paralleli di esistenza, scompartimenti stagni. Sono funzionali alla costruzione del Leviatano della nostra epoca: la macchina come modello del funzionamento umano. I muri mentali non riusciamo a percepirli come separazione dagli altri, salvo che nei momenti di imbarazzo (testimonianti che restiamo vivi). Li ospitiamo dentro di noi, ci isolano dalla realtà e dalle nostre emozioni.

Se li cercassimo davvero potremmo trovarli nelle loro manifestazioni folli di cui clamorosamente non teniamo conto. Una di queste riguarda il modello che a partire da circa cinquant’anni si è impadronito gradualmente della nostra concezione dell’istruzione superiore. Questo modello ha i suoi capisaldi negli esami a quiz, nelle “mediane” e nei crediti formativi.

I quiz sono il metodo selettivo delle nostre università che privilegia la capacità di memorizzazione. In medicina questo metodo ha raggiunto l’apoteosi: si sottopongono a dei diplomati di liceo domande a risposta multipla di una tale difficoltà e complessità che per rispondere non basterebbe essere laureati (nella facoltà a cui si candidano a entrare); si dovrebbe essere plurispecializzati. L’esame sarebbe del tutto illogico, se non avesse una logica perversa. Le domande, tra cui si sceglie, sono migliaia ma si conoscono in partenza. Gli studenti imparano le risposte a memoria, con infinite esercitazioni.

Le “mediane” sono i parametri quantitativi con cui si selezionano i docenti universitari. Se uno pubblica su una rivista di classe A un lavoro scientifico mediocre, ha in partenza la meglio su uno che ha pubblicato un lavoro di valore su una rivista di classe B. Non è la qualità dei lavori a fare la fortuna di una rivista, ma il potere di una rivista a fare la fortuna dei lavori. Questa è la legge dell’editoria, ma nessuno si chiede che c’entra ciò con la libertà e il rigore della scienza.

Tutti sanno che i crediti formativi sono un’istituzione burocratica, finalizzata alla sua autoriproduzione. Ma pochi sanno che un’ora di formazione “in presenza” vale un credito; in digitale uno e mezzo. Una “filosofia” che fonda la conoscenza sul distacco dalla realtà. Così non essendo in contatto con il mondo reale, lo ignora.

Degli impostori non si mette in dubbio la serietà. Sono considerati come portatori di un elevato sapere tecnico (a volte lo sono davvero). I tecnici sono bravissimi a risolvere i nostri problemi pratici e spesso capaci di salvarci la vita. Tuttavia non uno di noi affiderebbe la concezione e la progettazione della propria casa, nonché il proprio modo di viverla, al tecnico informatico o all’ingegnere idraulico che collabora alla sua costruzione. L’arte dell’istruzione è soprattutto insegnamento del giudizio critico. I robot non sono in grado di affrontare i problemi della qualità della vita che minacciano la sopravvivenza della nostra specie. Nel mondo confuso di oggi non sono per niente chiare le grandi “questioni geopolitiche”. Gli attori che le inscenano nel campo di battaglia non vedono al di là del loro naso. L’unica scelta che abbiamo, è resistere al pensiero “resiliente”, al pensiero senza sensi: che ha perso l’olfatto, il gusto e il tatto del vivere, che è cieco e sordo.