Approda oggi nell’aula del Consiglio regionale della Lombardia il controverso testo della riforma sanitaria che, grazie ai fondi del Pnrr, dovrebbe dare un definitivo colpo di spugna alla tanto vituperata legge n.23 del 2015 a firma Maroni. Il condizionale, viste le premesse, è necessario: la giunta lombarda ha infatti blindato un testo – annunciato alla stampa prima dell’estate con una decina di slide – presentandolo alle opposizioni solo il 1° agosto – giorno in cui le istituzioni locali chiudevano per la pausa estiva – dando tempo fino al 6 settembre per eventuali osservazioni. Anche il passaggio in Commissione sanità, il 27 ottobre scorso, si era rivelato inutile: nessuno degli accorgimenti presentati da Pd, Cinquestelle e gruppo misto era stato accolto, licenziando così un testo fotocopia della versione approvata in giunta.

Il piano di Fontana e Moratti, che vale circa 2,7 miliardi di euro, dovrebbe mettere fine alle fragilità del sistema sanitario emerse in modo prepotente soprattutto durante i mesi dell’emergenza sanitaria: mancanza di medici di medicina generale, scollamento dai territori, insufficienza di strutture pubbliche a vantaggio di quelle private e carenze nell’assistenza domiciliare. Fin qui l’iter di quella che è stata già definita una «non riforma calata dall’alto» è stato in salita e si annuncia tale anche alla vigilia della discussione in aula, in calendario fino al 26 novembre, con obiezioni di merito giunte non solo dal mondo della politica ma anche dai sindacati e dai sindaci lombardi.

Questi ultimi hanno lamentato la mancanza di confronto nella gestione, per esempio, del piano sulle Case e gli Ospedali di Comunità, realtà in programma di realizzazione da qui al 2024 che richiedono una importante partecipazione territoriale, finora quasi del tutto trascurata. «Non va bene che Regione Lombardia parli solo con Anci. Non abbiamo avuto contatti con l’assessora Moratti», ha dichiarato il sindaco di Milano Beppe Sala che ha riunito a Palazzo Marino molti colleghi del centrosinistra per un punto sulla riforma. «Inutile fare succursali e ospedali senza considerare le specificità dei territori», è stata la critica più aspra da parte dei sindaci che hanno anche sottolineato quanto «la distanza dai bisogni dei cittadini» abbia fin qui influito nell’errata gestione.

Sindacati e opposizioni regionali, che resteranno compatte nel votare contro, concordano sul fatto che si tratti di un modello sanitario iper-ospedalizzato a discapito della medicina di territorio con un rapporto sperequato tra pubblico e privato. «Curarsi in una struttura pubblica o in una privata non è una vera scelta viste le lunghe liste d’attesa che obbligano il cittadino a rivolgersi al privato o alla libera professione, se può permetterselo – spiegano dalla Cgil Lombardia. – Anche sostenere che strutture pubbliche private possano essere equiparate non è corretto, le regole sono completamente differenti: si pensi solo alle modalità di assunzione e ai contratti di lavoro».

Resta anche il nodo delle Ats, (Agenzie di Tutela della Salute), 8 in tutta la regione, che «continueranno a essere poltrone da assegnare per una maggioranza che ha fame di nomine», criticano dal Pd. «Non c’è nessun miglioramento sul tavolo – sintetizza Michele Usuelli di +Europa Radicali – è una riforma che perpetua gli errori di Formigoni e Maroni». Per questo le opposizioni promettono battaglia in consiglio regionale annunciando di essere pronti a «parlare per tutte le 80 ore di discussione previste dal Consiglio» con un numero monstre di emendamenti (1.900) e ordini del giorno (circa 4.500).