Inaugurando gli Stati Generali della Cultura, nel novembre 2012, l’allora presidente dell’enciclopedia Treccani e socio dell’associazione Il Mulino, Giuliano Amato, avvertiva: «la cultura è di tutti e rappresenta il tesoro più prezioso del nostro Paese». Il linguista e semiologo sovietico Lotman definisce cultura «la memoria non ereditaria di una comunità»: non ereditaria perché non trasmissibile geneticamente, ma sempre affidata alla tecnologia. E il sociologo della cultura Raymond Williams preferiva riferire le proprie attenzioni, non tanto alla «cultura in sé», quanto alle «industrie culturali». C’è da giurare che anche Amato avesse in mente la stessa distinzione.

Nell’ottobre scorso, l’ex premier e socio illustre de Il Mulino, Romano Prodi, durante le celebrazioni bolognesi per il sessantesimo della casa editrice dedicava le sue prolusioni allo storico socio fondatore, Luigi Pedrazzi, dichiarando: «Forse nessuna istituzione, come il Mulino, (ha) contribuito allo sviluppo della cultura italiana, soprattutto all’apertura della nostra cultura al mondo dopo la lunga chiusura del periodo fascista e della seconda guerra mondiale».

Tutto vero. Per sessant’anni, un mulino bolognese ha fornito non pane, ma cultura. Un mulino tanto amato e prode da riuscire a espandersi, a uscire dai portici di mamma Bologna, per raggiungere persino la capitale, e inglobarne uno dei più rappresentativi editori, Carocci.

Oggi, quello stesso mulino sceglie di macinare, sine grano salis, anche la casa consorella, le cui ruote idrauliche, ci si dice, non girano più. Più della metà dei dipendenti a casa. Non per Natale, ma subito dopo, dal 12 gennaio.

Durante l’acquisizione di Carocci, nel 2009, lo storico editor mugnaio Ugo Berti dichiarava: «è inevitabile che saranno create delle sinergie (…) saremo avvantaggiati dall’avere a disposizione anche il grande catalogo della Carocci. (…) La Carocci ha una considerevole duttilità ed è capace di essere presente con efficacia in piccole realtà».

Parole cui deve aver dato attenzione particolare l’amministratore delegato di Mulino e Carocci, Giuliano Bassani. Quella duttilità lui ora la interpreta in senso letterale. E da duttilità a esuberi il passo è breve.

Non sono bastate le parole indignate di Pedrazzi, che definisce «vergognoso mollare così la Carocci», spiegando che «nel giro di pochi anni, da paladini ci siamo trasformati in affossatori».

La partnership Mulino/Carocci poteva creare vere sinergie. E invece, il partner più muscoloso «affossa» il più debole. Che bel regalo di Natale. Mai fidarsi delle macine di un mulino.