In un libro anomalo, mesto, prudente e a tratti malinconico, Federico Pizzarotti scrive una specie di lettera d’addio al Movimento 5 Stelle che lo ha sospeso da mesi a causa di un’indagine ormai archiviata. Arriva oggi in libreria per Mondadori e si intitola La Rivoluzione Normale, questa disamina del M5S, delle affinità e divergenze tra il sindaco di Parma e Beppe Grillo. Il volume ripercorre questi anni di grillismo visti dal sindaco e viene attraversato dall’elogio dell’arte del compromesso e della mediazione. La rottura di Pizzarotti si consuma in nome di un invito alla moderazione: apparirà eretica ma a ben guardare non è tanto inconsueta nelle esperienze di governo locale penta stellato e in molte delle proposte concrete dei grillini.

La mutazione genetica, per Pizzarotti, avviene con lo sbarco in Parlamento. «Si dice che ogni situazione ha la sua evoluzione – scrive nella prima parte – Credo che l’uno vale uno avesse un senso fino al giorno in cui si entrò in Parlamento, nel 2013. Poi qualcosa è cambiato e per certi aspetti doveva per forza andare così. Oggi uno non vale più uno». Il vero scontro, tuttavia, è legato anche agli smottamenti degli ultimi giorni: il M5S come partito liquido digitale oppure come confederazione di esperienze locali?

Così Pizzarotti racconta il suo primo incontro con Gianroberto Casaleggio: «Lui era legato a una democrazia diretta che, nei fatti, funziona più che altro come plebiscito (sul blog) io desideroso di proiettare l’esperienza concreta, fisica dei meetup in ambito nazionale, perché il web non potrà mai sostituire l’emozione e la passione del contatto umano. Entrambi prepotentemente pragmatici, ognuno a proprio modo». Più avanti è ancora più netto: «Ho sempre condannato quel modo indegno e vigliacco di utilizzare il blog come un manganello, senza che venisse mai concesso il diritto di replica». Questa critica lo porta a rivalutare persino i vecchi partiti: «Per quanto lobbistici e poco trasparenti, nei partiti tradizionali c’erano comunque luoghi e momenti istituzionali di discussione interna, spesso anche accesa. Si sa chi sta con chi, e chi è contro».

C’è il racconto della vittoria alle comunali del 2012, la conquista di una città ai limiti del dissesto finanziario. C’è la volta che, in ufficio e in solitudine, scoppiò a piangere davanti alle carte dell’amministrazione. E c’è il primo sms col quale Grillo gli chiese di azzerare le nomine di Iren, la multi-utility parmigiana. Pizzarotti non obbedì, al tempo stesso sostenne l’impossibilità di rispettare la promessa di chiudere l’inceneritore. Oggi riflette: «Per il Movimento 5 Stelle rapportarsi con grandi aziende è un po’ come seguire il filo di Arianna che conduce alla galassia dei compromessi, degli stratagemmi e delle spartizioni di poltrone tra mondo aziendale e potere politico».

Lo scontro con Di Maio, al raduno di Imola dello scorso anno, rivela l’allergia di Grillo e Casaleggio verso ogni forma di coordinamento nazionale. «Tra noi volarono parole grosse- racconta Pizzarotti – In mezzo gli altri sindaci e i capigruppo che tentavano di mediare. ‘Un coordinamento tra sindaci non serve’, diceva, ‘se ci sono dei problemi, si chiama me’. ‘Non sono d’accordo’, ribattevo. Ogni Comune ha più o meno le stesse problematiche, fare rete vuol dire darsi una organizzazione’. Lui replicava, ancora più lapidario: ‘Di te non mi fido, parli ai giornali e sbatti in pubblico le questioni interne’». Pizzarotti conclude valutando «la totale incapacità del direttorio di gestire problematiche importanti».