Un altro pezzo se ne va via. «Dopo una lunga e sofferta riflessione annuncio la mia uscita dal Movimento 5 Stelle», annuncia la senatrice Paola De Pin in una lettera al gruppo in cui motiva la decisione come conseguenza dell’espulsione della collega Adele Gambaro. «E’ evidente che le critiche da lei sollevate, giuste o sbagliate che fossero, avevano un carattere politico e non meritavano né la reazione che hanno provocato, né tanto meno la successiva gogna mediatica». «Sono scelte personali, non entro nel merito di queste cose», liquida la faccenda Beppe Grillo, impegnato in Sicilia nella chiusura della campagna elettorale per i ballottaggi di domani. Un tour nel quale il leader del movimento ha accusato il premier Enrico Letta di essere pronto a «baciare il culo a Berlusconi pur di sopravvivere» e avvertito gli elettori: «Il Paese verrà giù a settembre, ottobre, novembre. Noi siamo l’ultimo treno per la democrazia, se passa è tutto finito».

In poco più di tre mesi sono ormai cinque i parlamentari che non fanno più parte del M5S, per scelta o perché mandati via. Oltre ai senatori espulsi Marino Mastrangeli e Adele Gambaro (che ieri ha reso noto il suo passaggio al gruppo Misto), ci sono state le dimissioni dei deputati Alessandro Furnari e Vincenza Labriola, contrari alla linea del Movimento sull’Ilva di Taranto. Ieri, infine, Paola De Pin, un’altra che si era espressa contro l’espulsione della Gambaro. «Ora dobbiamo capire se questo addio è il segno di una piccola emorragia, che si ferma da sé, oppure l’indice di una grande emorragia», è stato il commento del capogruppo al Senato Nicola Morra.

Di certo per il Movimento si tratta dell’ennesimo campanello d’allarme, l’ultimo segnale del disagio vissuto da molti parlamentari proprio a causa delle vicende degli ultimi giorni. Caso-Gambaro compreso, che alla De Pin (come a molti altri) non è proprio andato giù. E così se la senatrice garantisce che rispetterà i patti e restituirà la diaria, spiega anche perché ormai sia impossibile per lei restare: «Ritengo che il dissenso, e la possibilità di esprimerlo, siano necessari e rappresentino l’essenza del dibattito democratico», scrive nella lettera. «Il pericolo adesso – aggiunge – è che nessuno voglia esprimere il proprio disaccordo per la paura delle conseguenze. Temo pertanto che questo episodio porti all’autocensura dei parlamentari M5S».
Timori che ottocento chilometri più a Sud vengono liquidati con poche battute dal leader, impegnato ad affrontare ben altri problemi. Dopo il tracollo subìto alle ultime amministrative, il M5S rischia adesso di perdere ancora voti. Un sondaggio Tecnè per Sky dà infatti il non-partito di Grillo al 16,9%, 8 punti in meno rispetto alle politiche di febbraio. Un calo di consensi che, per altri versi, riguarda direttamente la sua persona e certificato questa volta da Blogmeter, società che monitora i social media, secondo la quale da quando si è insediato il governo Letta la pagine Facebook del comico ha perso 6.013 fan (in media 135 al giorno), mentre quella del Movimento 2.394. Una calo che riguarda in generale tutti i partiti, ma che sembra colpire in particolare i pentastellati.

Grillo ha dunque bisogno di convincere gli elettori a non abbandonarlo, e lo fa con i soliti toni esasperati che hanno caratterizzato finora tutti i suoi interventi. A Ragusa, dove si trova per sostenere Federico Piccitto, il candidato M5S appoggiato da una strana alleanza in cui figurano anche Sel e la Destra di Francesco Storace, Grillo non si risparmia. Nel mirino finisce Letta che, dice, «lo abbiamo fatto passare per uno statista con la diretta streaming», ma che in autunno cassaintegrati, precari, licenziati, sfrattati licenzieranno. «Ci lascerà un’Italia impoverita e rabbiosa. Dopo aver tirato a campare, il pdmenoelle tirerà le cuoia». Poi promette di fare «un parlamento extraparlamentare» e di portare i parlamentari «dove ci sono i problemi». Infine una piccola autocritica:« Alle amministrative abbiamo fatto un errore, quello di fare 200 liste, 50 delle quali in Sicilia, e di non dedicarci a capoluoghi come Messina e Catania, con liste raffazzonate. Non lo faremo mai più».

A Roma intanto i parlamentari si preparano per il «restitution day». Il capogruppo alla Camera Riccardo Nuti ha inviato una mail con il numero di conto corrente dove versare la parte di diaria non spesa e la parte di indennità da restituire allo Stato. I soldi finiranno in un fondo per la riduzione del debito pubblico.
Martedì è l’ultimo giorno per adempiere alla promessa fatta agli elettori e per l’occasione non è escluso che a Roma arrivi anche Grillo. Sempre che i risultati elettorali non guastino la festa.