Per la Biblion Edizioni di Milano compare una inaspettata Biblioteca Menscevica. I promotori dell’iniziativa, primo tra tutti Andrea Panaccione, autore di numerosi studi sui movimenti sociali nella Russia e nell’Urss del ‘900, dichiarano di voler mettere a disposizione degli studiosi e degli appassionati testi e documenti provenienti da un’esperienza politica che in passato ha contribuito a arricchire il bagaglio di idee e di valori della contemporaneità. Intento non semplice: occorre evitare in ogni caso ogni inutile polemica al presente con la «maggioranza» di allora; e soprattutto è necessario fornire una panoramica storica del fenomeno che vada oltre l’inattualità di ogni singolo contributo. Sfogliamo il primo volume della collana: Un punto di svolta nella storia del movimento operaio ebraico di Julij O. Martov (pp. 138, euro 15). In realtà gli scritti dell’esponente menscevico qui raccolti sono due: il primo, che dà il titolo all’intero libretto, è un discorso tenuto a Vilnius il 1°maggio del 1895 nel corso di un’assemblea di lavoratori ebrei. Il secondo, «Operai ebrei contro capitalisti ebrei», dell’anno successivo, sembra essere un articolo pubblicato sulla rivista Rabotnik (Il Lavoratore). Ai due testi è complementare un saggio di Panaccione: «Alle origini del socialismo ebraico e di quello russo».

TALE MATERIA suscita, malgrado tutto, più motivi di interesse. Il primo è quello relativo al quadro generale del processo che dalla metà del XIX secolo approda alle rivoluzioni del ’17. È in tale contesto che i testi di Martov assumono un valore storico: sono da considerare come una sorta di duplice premessa all’atto fondativo dell’Algemayner yidisher arbeter bund in Poylin un Rusland (l’Unione generale dei lavoratori ebrei di Polonia e Russia), nota come Bund. A sua volta, il Bund sarà una delle sei compagini rivoluzionarie che a Minsk, nel marzo 1898, si riuniranno nel Partito operaio social-democratico russo. L’Unione, in Russia, non avrà però sorte facile. Conoscerà rotture e scissioni che porteranno i suoi militanti a schierarsi confusamente su entrambi i fronti della guerra civile: ciò da un lato per l’esplicito antisemitismo dei Bianchi, dall’altro per il rifiuto bolscevico di conferire agli ebrei russi lo status di «nazionalità» sia pure senza terra. Atteggiamento che sarà poi alla base dell’Evsektsija, la politica staliniana di assimilazione forzata per tutto l’ebraismo, che metterà fine, per legge, all’organizzazione.

IL BUND POLACCO, resosi autonomo con l’indipendenza del proprio paese, avrà invece vita più lunga, divenendo una grande organizzazione sindacale caratterizzata da un acceso dottrinarismo socialista. L’occupazione nazista vedrà il Bund avere grande ruolo nella Resistenza. Saranno bundisti molti combattenti del Ghetto di Varsavia: tra essi Marek Edelman. Implicitamente, documenti come questi servono a ragionare meglio su quel fenomeno storico e culturale che fu l’ebraismo nell’Europa del XIX e del primo XX secolo: in gran parte alla ricerca di strumenti critici di confronto con il proprio futuro. Ricerca che però non si esaurì nella sola nascita del sionismo. Non furono sionisti movimenti come la Neo-ortodossia, attenta al progresso scientifico e agli ideali di un «ebraismo universale», o molte delle correnti «riformate» del Nord America. Nel Bund le dottrine di Herzl non trovarono spazio: ciò in forte contrapposizione ad altri movimenti pur proletari e operai come i Poalei Zion o gli Hashomer Hatzair, sostenitori dell’aliya; e con il Revisionismo di Jabotinsky, fautore di una «Grande Israele» e di un totalitarismo para-fascista. Ma verso questa indagine non possiamo inoltrarci di più, essendo una riflessione desunta troppo estensivamente dagli accenni al tema contenuti nel voluleme. Malgrado lo stesso Martov scrivesse: «Come operai noi soffriamo sotto il giogo del capitale, come ebrei sotto quello della mancanza di diritti».