Il tavolo di quella pizzeria sperduta in mezzo alla campagna della periferia sud di Brescia, era destinato, a sua insaputa, a fare la storia del nuovo movimento ambientalista bresciano. Era una calda serata della primavera inoltrata del 2015 e i convenuti, una quindicina di attivisti, sembravano determinati, nonostante fossero ogni poco frastornati dal tuono del volo radente di un tornado in esercitazione dalla vicina base militare (e nucleare) della Nato di Ghedi. Per un po’ non c’era verso di parlare a quel tavolo, il frastuono spaccava i timpani: una violenza insopportabile che forse, inconsciamente, ha ispirato quel gruppo nel definire la propria identità, Tavolo Basta veleni! Non se ne poteva più di quell’insulto intermittente ed ossessivo dall’alto, così come non se ne poteva più di nuove discariche e nuovi impianti, da cui quella stessa pizzeria era assediata, e che aggiungevano degrado ad un territorio già tanto devastato. Unire le forze sembrava l’ultima speranza. Del resto a Brescia perseguire con coerenza ed in profondità la tutela dell’ambiente significa confrontarsi con un sistema economico molto robusto, che produce ricchezza, lavoro e consenso politico pressoché plebiscitario. La rilevanza del «sistema Brescia» è resa evidente dai tanti attori di primo piano dell’economia nazionale che oggi esprime: uno dei maggiori produttori di armi leggere a livello internazionale, Beretta; il Presidente di Utilitalia che raggruppa oltre 500 multiutilitys con circa 90.000 addetti complessivi, con un valore della produzione pari a circa 38 miliardi di euro e utili per 1,3 miliardi, Giovanni Valotti, presidente di A2A; uno dei 5 candidati alla corsa per la presidenza della Confindustria, Giuseppe Pasini, Presidente dell’Associazione degli Industriali bresciani, acciaiere e operatore nel settore rifiuti; il Presidente nazionale della Coldiretti, Ettore Prandini; un padre nobile della finanza nazionale, Giovanni Bazoli, Presidente emerito del Consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo nonché protagonista di primo piano in Ubi, rispettivamente il primo e il quinto gruppo bancario nazionale.

In questo contesto, l’esperienza del Tavolo Basta veleni appare ancor più inusitata, in qualche modo straordinaria, anche perché dura da quasi cinque anni. Per questo può essere utile una lettura.

Fu scelto, non solo metaforicamente, un Tavolo per dare un nome a ciò che si andava costruendo: una centralità neutra, che di per sé non tollera strutture burocratiche, presidenti o leader, dove ognuno siede con un ruolo e un peso alla pari con ogni altro, dove il confronto aperto avviene in modo trasparente, democratico, circolare, e si decide tutti insieme; un tavolo, inoltre, che ha la possibilità di allargarsi, come via via è avvenuto, coinvolgendo oltre 60 comitati e associazioni, soggetti di estrazione e di culture politiche diversissime, dai No Tav alla Pastorale del Creato, da Legambiente ai Meetup amici di Beppe Grillo e poi innumerevoli Comitati locali, con l’unica discriminante la Costituzione ed il suo rigetto del fascismo e del razzismo. Fondamentale è stata la capacità del Tavolo di promuovere e coordinare i iniziative generali e comuni a tutto l’ambientalismo bresciano, ma senza prevaricare l’autonomia e l’azione dei singoli comitati locali e delle singole associazioni su temi specifici. Il principio della rotazione dei ruoli nella gestione interna, ovviamente, vale anche nei rapporti con l’esterno, con le istituzioni, con i media. I primi mesi furono dedicati a costruire un documento condiviso di analisi della situazione di degrado e di compromissione delle diverse matrici ambientali, suolo, aria e acqua, e di proposte per porvi rimedio. Il nucleo centrale derivava da quel «Basta veleni» aggiunto a «Tavolo» fin dai primi incontri, un punto su cui la convergenza era unanime: il Bresciano era ormai sommerso dai rifiuti speciali, era divenuto col tempo l’immondezzaio d’Italia, il capolinea di rifiuti di ogni genere e provenienti da ogni dove, ormai la principale monocultura industriale e fonte di business, che alimentava e alimenta tutt’ora la richiesta smisurata di nuove discariche e nuovi impianti impattanti.

La proposta unificante si condensava, infine, in tre punti: una generale moratoria di ogni autorizzazione per attività di discariche e smaltimento di rifiuti; la mappatura di tutte le fonti inquinanti e delle zone compromesse alla ricerca, in particolare, delle discariche “fantasma”; una grande opera bonifica ambientale e di valorizzazione delle risorse naturali, troppo a lungo degradate. Per questo lavoro il Tavolo si è avvalso intelligentemente del contributo di tecnici e di esperti, scelti non solo per le loro competenze, ma anche per la provata indipendenza dal potere economico e politico. Ed analoga autonomia ed indipendenza il Tavolo ha saputo tenere nei confronti delle istituzioni e dei partiti. Può vivere una creatura così deforme rispetto ai canoni delle organizzazioni (partiti, sindacati, associazioni) che il secolo scorso aveva consacrato? Sembrerebbe proprio di sì, ed in ottima salute. Come ha potuto compiersi il miracolo? Credo sia doveroso rivelare l’arma segreta che ha permesso al Tavolo di resistere ed anzi, nelle difficoltà, di rafforzarsi ancor di più. Se, come si è visto, non c’è un’organizzazione forte, né un leader, sono necessariamente le persone a fare la differenza. E nel caso del Tavole bisogna riconoscere che queste persone sono state e sono soprattutto donne, le Mamme di Castenedolo, ma anche quelle di Brescia, di Travagliato, di Calcinato, di Montichiari. Queste donne hanno tessuto e ritessuto con pazienza i rapporti all’interno del Tavolo, hanno costruito relazioni intelligenti con i media e con diverse realtà un po’ in tutto il Paese, hanno creato, con l’impegno incessante e con pochissimi mezzi, canali efficaci e originali di comunicazione e di buona propaganda. Esprimendo, senza interessi personali di immagine o di potere, una determinazione e un’abnegazione che, forse, appartengono solo alle donne.

Così l’esperienza bresciana del Tavolo Basta veleni si è sedimentata e ha messo radici profonde. E comincia ad ottenere qualche risultato significativo: il 10 dicembre 2019 la nuova maggioranza giallo-rossa, in sede di ratifica del decreto clima, ha approvato un ordine del giorno in cui impegna il governo ad affrontare l’emergenza rifiuti di Brescia e ad «aprire un confronto con Regione Lombardia e Provincia di Brescia per la predisposizione urgente, previa intesa con la stessa Regione Lombardia, della procedura di moratoria del conferimento dei rifiuti speciali destinati in discarica in Provincia di Brescia»; con il nuovo anno, per la prima volta le istituzioni dicono no all’ampliamento di due grandi discariche, tra cui una per rifiuti pericolosi gestita dal gruppo che fa capo all’imprenditore Manlio Cerroni, ex patron della discarica romana di Malagrotta.