Non è la nostra riforma, ma il risultato è ottenuto» dice Giuseppe Conte alla fine del consiglio dei ministri che ha visto gli esponenti del Movimento 5 Stelle dare il via libera al testo sulla giustizia, dopo giorni di trattative e un rush finale che ruota tutto attorno al primo comma del 416 bis del codice penale, quello relativo ai reati connessi alla mafia ma non collocati all’interno del perimetro della criminalità organizzata. «I processi per mafia e terrorismo non si dissolvono nel nulla – rivendica Conte – C’è stata una durissima battaglia sui reati collegati alla criminalità organizzata e lì devo registrare l’opposizione della Lega, segno che siamo tutti uniti contro la mafia solo in alcune situazioni».

Tuttavia, aggiunge, il testo approvato prevede un «regime speciale che garantisce che anche quei processi non si estingueranno».

Alla fine, nonostante le tempeste annunciate, Conte assicura di aver portato la barca del Movimento 5 Stelle in un porto riparato. L’obbiettivo del quasi leader, a tre giorni dall’apertura delle urne digitali che daranno ufficialmente il via alla nuova fase, era di trovare un approdo sicuro, di non imbarcarsi in una crisi in piena bufera. Ciò doveva però avvenire preservando l’alterità dei grillini. Tenendo fino all’ultimo, almeno sotto il profilo comunicativo, la maggioranza sul filo.

Non si trattava soltanto di garantire l’immagine del M5S, di cercare di mantenere il pedigree outsider pure nella fase della responsabilità e nella collocazione di governo che durerà tutta la legislatura. La scommessa, per Conte, è quella di tenere viva la dialettica tra le due anime interne per potersi smarcare nel medio-lungo periodo da Beppe Grillo e Luigi Di Maio. L’area che gli è più vicina, e che è maggioritaria tra i senatori e che interessa circa la metà dei deputati, non avrebbe avuto problemi a seguirlo all’opposizione, marcando la differenza rispetto a Draghi in nome delle battaglie condotte dall’avvocato del popolo durante i due governi che ha presieduto. Quella che risponde alla linea tracciata dal fondatore e dal ministro degli esteri, che si trovano su posizioni non esattamente sovrapponibili ma in questo momento convergenti, non vuole sentire parlare di rotture con questo esecutivo, anche in nome del fatto che il M5S debba lasciarsi alle spalle vecchi schematismi e si mostri come un partito post-ideologico e pragmatico che sia in grado di perseguire obiettivi concreti di fronte alle diverse maggioranze parlamentari che sono destinate a succedersi.

«Anche se alcune parti del testo non ci soddisfano ancora, questa è comunque una vittoria del M5S – dice il capogruppo alla Camera Davide Crippa, che non è considerato tra i più vicini a Conte – Una vittoria arrivata nonostante l’opposizione di altre forze politiche, ottenuta al termine di una giornata lunga, nel corso della quale abbiamo fatto sentire forte la nostra voce».

Il suo vice Riccardo Ricciardi, più vicino a Conte, rivendica che quest’ultimo è stato «l’unico leader di partito a voler riaprire la partita sulla giustizia. Una partita che per la Lega si sarebbe già chiusa giorni fa con un testo ben diverso». Ma qualche eletto contiano storce il naso, anche perché le dichiarazioni di colleghi di maggioranza che esultano per aver seppellito la riforma Bonafede sembrano pensate apposta per mettere i 5 Stelle in difficoltà.

I contiani non smentiscono l’ex presidente del consiglio ma ammettono che il testo approvato dal governo potrebbe creare qualche problema. Non parlano di vittoria, insomma. È a loro che Conte si rivolge con un appello all’unità: «Noi siamo una grande famiglia – dice – Abbiamo discusso tanto. Poi esamineremo nei dettagli queste novità, e io sono assolutamente fiducioso che nella discussione generale raggiungeremo un risultato in modo compatto».