«Le espressioni “grandi opere, opere strategiche” fanno sobbalzare le popolazioni, perché spesso si traducono in devastazione dei territori da parte di multinazionali che coltivano i propri esclusivi interessi». Il gasdotto Tap e quello Rete Adriatica, sono infrastrutture che, nonostante i nomi differiscano, hanno lo stesso scopo: trasportare il gas proveniente dall’Azerbaigian, dalla regione del Mar Caspio, in Europa.

PRENDONO NOMI DIVERSI, ma rappresentano un’unica mastodontica opera. Così la carovana No Tap e gli attivisti No Snam s’incontrano a Sulmona (Aq), per raccontare un pezzo di quella piccola Italia «ostaggio di interessi privati e distruzioni ambientali e che sta perdendo i propri diritti democratici». L’obiettivo è sensibilizzare per resistere, per salvare tradizione, sviluppo e sicurezza. Tap, ossia Trans Adriatic Pipeline, è il progetto che, negli ultimi mesi, ha messo in subbuglio il Salento. Ma non è solo “il mostro” che smembrerà parte della Puglia – viene fatto notare – perché “il mostro” aggredirà mano a mano tutto lo Stivale. Dalle terre rosse alle terre nere, correndo nel ventre di terre vere, che rivendicano la dignità e l’identità che il business sta cercando di scalzare.

«LE VIOLENZE che stiamo subendo in Puglia – attacca Marco Santoro Verri, portavoce No Tap, di fronte a una sala gremita – non sono solo i manganelli delle forze di sicurezza, sono le bugie dei politici, sono i nostri piccoli centri militarizzati, assediati da poliziotti ai quali, per fare una passeggiata in campagna devi mostrare la carta di identità, sono le campagne sbudellate, i muretti a secco cancellati. Tutto in nome di progetti inutili e imposti».

«NEL NOSTRO PAESE – spiega Alessandro Manuelli, ingegnere, della commissione comunale di Melendugno (Lecce) – decreti d’urgenza, dichiarazioni d’intenti, elenchi come i Pic (progetti d’interesse comunitario), danno lo status di opera strategica a mere opere speculative che spesso vengono “spezzettate”, suddivise in lotti, come è successo in questo caso, per camuffarne i danni ed evitare procedure complesse come la Vas (Valutazione di impatto ambientale e strategica). Esempio eclatante – sottolinea – è proprio il Tap che, fino a Minerbio, è diviso in sette tronconi, per circa 800 chilometri complessivi, e che, chiaramente, per entrare nel mercato speculativo, è addirittura connesso con gli stoccaggi lombardi. Per portarlo avanti è stata elusa anche l’applicazione di “costose” e complesse normative sulla sicurezza (vedi 334/99 Seveso) che andrebbero a incidere in maniera rilevante sui margini di profitto. E si sta mettendo in atto una vera e propria strategia repressiva». Tubi imponenti, interconnessioni, vie del gas, costellate di centrali termiche e camini, che tagliano decine di regioni in largo e in lungo, mettendo in pericolo le loro genti. «Perché – dice Giovanna Margadonna, del Comitato per l’ambiente di Sulmona, città in cui si lotta da dieci anni – il gasdotto Snam attraverserà una delle zone più sismiche d’Italia». Taglierà l’Appennino, quello che da un po’ trema e fa tremare… E con i suoi recenti terremoti ha fatto macerie e sparso lutti. Sulmona, L’Aquila, Norcia, Visso, Foligno… «È un vero attacco, con i grandi poteri economici che cacciano le popolazioni, ipotecandone il futuro dei figli. Si procede sfacciatamente, in nome di una pubblica utilità che non esiste».

«IL TAP- SNAM è un unico… tubo – ribadisce Cosimo Quaranta, della carovana No Tap -. Non è una questione che attanaglia solo Melendugno, dove sì è vero, massacrerà una delle spiagge più belle d’Italia. È una questione nazionale ed europea e come tale va affrontata”. La carovana finora, partendo da Melendugno, ha fatto tappa a Brindisi, Pisticci, Campobasso e Sulmona. Prossimi appuntamenti, tutti in gennaio, a Foligno, Norcia, Tolentino, Bologna, Minerbio, Crema-Bordolano, con conclusione a Milano. «È importante – aggiunge Quaranta – che i cittadini si uniscano, convinti, in un’unica battaglia, a difesa di se stessi e dei propri territori».