Dalla prima fondamentale pellicola del 1954 diretta da Ishiro Honda alla quasi infinita serie di sequel e reboot che si sono susseguiti in questi ultimi 50 anni, fino all’ultima incarnazione del lucertolone uscita a luglio nelle sale del Sol Levante, Godzilla è diventato una vera e propria icona a livello planetario e non solo cinematografica. Tutto comincia nel 1954 quando la coppia formata da Ishiro Honda e Eiji Tsuburaya crea e porta sul grande schermo il primo Godzilla, una pellicola che era e rimane tutt’ora un’opera drammatica. Honda viene chiaramente ispirato dalle devastazioni della seconda guerra mondiale, Tokyo rasa al suolo dai bombardamenti aerei del 10 marzo 1945, e naturalmente dalle catastrofi delle due bombe atomiche, ferite che nel 1954 ancora sanguinano copiosamente. Al di là degli effetti speciali sorprendenti per l’epoca e congegnati da Tsuburaya, il film è carico di significati e dilemmi etici: il sacrificio del dottor Serizawa che si autoimmola per portare nella tomba il segreto del «distruttore di ossigeno» si lega in negativo con l’origine stessa del mostro, creato e risvegliato dagli esperimenti nucleari nel mare – ricordiamo che quelli americani nell’atollo di Bikini si svolsero dal 1946 al 1958.

Padre di tutti i kaiju eiga, i film di mostri, il primo Godzilla ne rimane in qualche modo fuori e paradossalmente proprio per questo è forse ancora oggi il migliore di tutti i film dedicati al lucertolone. I messaggi etici e politici all’interno dell’opera sono molto pregnanti ancora oggi e la spettacolarità, sempre velata di tristezza, delle scene in cui è presente Godzilla, ne fanno un film capitale nel suo genere e un cardine nella storia del cinema. Il protagonista non è in fondo il mostro, o almeno è solo un grandioso simbolo, il centro dell’opera sono le problematiche nate dall’agire umano in un’epoca in cui le conseguenze della conoscenza e della tecnica sono impossibili da evitare.

Il successo della pellicola dà il via ad una vera e propria mania per i kaiju: gli spettatori, soprattutto quelli più giovani, vogliono vedere sempre di più Godzilla combattere e sconfiggere i più svariati mostri. Ecco che allora che in poco più di 20 anni escono ben 14 sequel con protagonista Godzilla: si tratta della cosiddetta Showa Series, i temi della guerra fredda e del rapporto con gli Stati Uniti sono sempre presenti sottotraccia ma con l’andar del tempo il lucertolone diventa il mostro buono che difende la terra e i film sono sempre più rivolti a un pubblico di bambini e adolescenti. Proprio in questi anni fanno il loro esordio kaiju quali Mothra, Ghidorah a Mechagodzilla che ritorneranno in svariate forme negli anni successivi. Inoltre i momenti di surreale comicità cominciano a diventare più frequenti mentre la fantasia di Tsuburaya e del suo team si può scatenare nella creazione dei mostri più svariati e anche inverosimili. L’apice di questo processo di «campizzazione» si ha con Godzilla contro Hedorah del 1971, lisergico e surreale tentativo, riuscito secondo noi, di portare un tocco di anarchica fantasia pop al franchise.                                                      

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La seconda serie di pellicole dedicate a Godzilla, la Heisei Series, inizia nel 1984 con Il ritorno di Godzilla e si conclude nel 1995 dopo sette film: Godzilla ritorna il malvagio mostro della prima pellicola del 1954 di cui la serie vuole essere un sequel. Gli elementi horror, siamo del resto negli anni Ottanta, acquistano più spessore e il film si rivolge ai bambini degli anni Sessanta e Settanta ora diventati adulti. Il più originale e riuscito della serie è probabilmente Godzilla contro Biollante, primo lavoro in cui l’avversario non appartiene al regno animale ma a quello vegetale: Biollante infatti è una rosa mutante dotata di poteri psichici. Bioingegneria, poteri psichici, telepatia, regno vegetale e animale che si mischiano rendono la pellicola particolarmente interessante. Incredibilmente il soggetto, anche se fortemente rimaneggiato, è opera di un dentista e scrittore dilettante che vinse il concorso indetto dalla Toho per trovare un’idea originale con cui far rinascere la saga.

Nel 1999 comicia la Millenium Series con cui la Toho decide di rilanciare il franchise anche spinta dallo «scandalo», almeno per gli appassionati, del Godzilla di Roland Emmerich del 1998. In questi sei film che avranno il loro ultimo capitolo nell’orrendo Godzilla: Final Wars, il design di Godzilla viene reso ancora più mostruoso ma al di là di effetti speciali abbastanza riusciti questa rimane la serie probabilmente meno amata dal pubblico.
Per quanto «solo» cinema di genere quindi, Godzilla e le sue infinite declinazioni hanno riflettuto la storia del Giappone contemporaneo, dalle bombe di Hiroshima e Nagasaki fino al triplice disastro di Fukushima: proprio il sisma con il conseguente incidente nucleare del marzo 2011 è infatti il referente simbolico della pellicola appena uscita nell’arcipelago. Diretta da Hideaki Anno, padre di Evangelion, assieme all’amico Shinji Higuchi che ne ha curato gli effetti speciali, il film sta facendo molto parlare di sè, sia per il risultato al botteghino e sia perché incrocia temi e problematiche politiche molto sentite nel Giappone post-Fukushima e naturalmente anche perché c’era molta attesa rispetto a come sarebbe stato reso il lucertolone nell’era del dominio della Cgi.

Ci sono molti motivi per amare questo reboot, ma anche altri che ne abbassano le potenziali qualità e che fanno storcere il naso. La storia ha alcuni spunti molto interessanti e come detto è un commento in forma di immagini sui problemi emersi nel post-Fukushima: l’incapacità della politica di gestire e comprendere i momenti di crisi, le responsabilità per il patto col diavolo fatto con l’energia nucleare e, forse il tema più controverso di tutto il film, l’incapacità delle forze di difesa giapponesi di essere davvero attive e d’aiuto nei momenti di emergenza nazionale. Tutto questo viene reso da Anno in lunghissime scene di meeting in uffici amministrativi che sono forse troppo pesanti, sia per le informazioni rigettate sul pubblico dai personaggi sia a causa delle scritte sovraimpresse, marchio di fabbrica del regista. Nel bene e nel male si tratta quindi di un’opera autoriale che riflette in tutto e per tutto lo stile di Anno: montaggio serrato, angolazioni estreme, che ricordano il suo live-action Love & Pop; un feticismo per aerei, treni, carrarmati e macchine da guerra in genere, ma anche per i personaggi e per le situazioni che riflettono, anche se solo in parte, quelli che popolano l’universo di Evangelion.

Alcuni attori e alcune scelte di scrittura nello sviluppo dei personaggi sono deboli, ed è questo il difetto maggiore del film che in alcuni tratti è proprio recitato male. Fa piacere però vedere Tsukamoto Shin’ya, anche lui grande amante dei kaiju eiga, interpretare uno degli esperti del gruppo che escogita il piano per sconfiggere Godzilla. La parte più riuscita e per cui vale la pena vedere questo Shin Godzilla però è il kaiju stesso, cattivissimo nell’espressione e nelle fattezze spigolose e quasi emanazione di una forza selvaggia e primigenia della terra: non a caso il design ricorda molto da vicino una colata di roccia lavica ancora incandescente.                

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Godzilla non ha certo la fluidità di quello in Cgi di Edwards, il budget era molto inferiore, ma la scelta di usare una tecnica ibrida – il motion-capture con un attore del teatro Kyogen che ha dato vita ai suoi movimenti – è risultata vincente. Se in alcune scene, pochissime in verità, mostra i suoi limiti, riesce a esprimere allo stesso tempo una crudezza e una materialità che rendono questo Godzilla, e parliamo del kaiju in sè, probabilmente quello più terrificante e riuscito di tutte le serie. Ci troviamo i fronte a un mostro che nell’arco delle due ore del film subisce delle inattese ma importanti mutazioni. Cambiamento, mutazione e disastro ed il modo di rapportarsi a essi da parte del genere umano sono del resto le tematiche principali che emergono dalla visione di questa pellicola e che ben riflettono la situazione storica che stiamo vivendo