Da settimane noi veneziani guardavamo i nostri stivali per l’acqua alta con un misto di sorpresa e soddisfazione. La sorpresa di avere visto finalmente in funzione quell’opera mastodontica, la più cara e controversa d’Europa, chiamata Mose (Modulo sperimentale elettromeccanico, e in quello «sperimentale» forse sta tutto il senso e il controsenso del progetto), un’opera per cui qualche anno fa sono andati in galera per corruzione e altri reati decine fra amministratori e imprenditori.

SODDISFAZIONE PERCHÉ bisogna essere veneziani per capire cosa abbiamo provato le prime volte in cui la città è rimasta all’asciutto mentre la marea, fuori dalla laguna, era a livelli che prima mandavano sott’acqua gran parte di case e negozi, una sensazione che un giorno bisognerà raccontare. Invece ieri Venezia è andata a mollo di nuovo. Abitazioni e negozi hanno subito danni che vanno a sommarsi a quelli della marea furiosa di un anno fa e alle conseguenze del Covid che per questa città sono state devastanti. Il motivo del mancato funzionamento del Mose? Le previsioni sbagliate del Centro Maree. Lunedì, alle 16 e 19 i veneziani hanno ricevuto questo messaggio: «martedì 8 dicembre previsti 125cm alle ore 15 e 10. Per i prossimi giorni permangono condizioni favorevoli al fenomeno dell’acqua alta». Quei cinque centimetri in meno hanno significato per molti la differenza fra il nulla e il disastro.

IL MOSE, PER MOTIVI LEGATI alla mancanza di collaudi e alla sua attuale incompletezza, pare non possa essere messo in funzione con una marea che sia al di sotto dei 130 centimetri. Vero è che non serviva, nei giorni scorsi, essere il colonnello Bernacca per capire come il meteo fosse del tutto imprevedibile. Evidentemente la lezione del 12 novembre 2019 non è bastata. Chissà cosa ci vorrà per far capire a tutti (soprattutto a chi di dovere), che la situazione ambientale è ormai fuori controllo, che forse i parametri che fino a poco tempo fa erano infallibili, oggi sono diventati inaffidabili, che forse accanto ai calcoli, alle cifre, ai satelliti, serve affiancare buon senso e consapevolezza. Perché ieri, girando per Venezia con addosso quegli stivali che erano finiti sullo scaffale lassù in alto, era difficile dire a chi stava pompando l’acqua fuori dai negozi, fuori dagli appartamenti, che era colpa dei venti, cambiati all’improvviso. Bisognava sentirle tutte le imprecazioni rivolte al Mose e al sindaco, appena rieletto, che però gira le colpe ai burocrati romani.

SI SONO SENTITI PRESI IN GIRO, ieri, i veneziani, perché mica puoi capirlo, mentre con la scopa cerchi di buttare fuori l’acqua dalla porta, che quel coso ancora non è finito, che bisogna avere pazienza, e che comunque anche quando entrerà in piena efficienza, porterà con sé tutta una serie di pro e contro. È ciò che sostiene Gianfranco Bettin, sociologo, scrittore ed ex assessore all’ambiente: «Il Mose è stato imposto a colpi di diktat politici, oltre che con la corruzione, a scapito di alternative che avrebbero messo in sicurezza Venezia già da almeno vent’anni, meno costose, più pratiche da maneggiare, meno impattanti sull’ecosistema e sull’economia portuale.

I CANTORI vecchi e nuovi del Mose si scordano di dire questo quando celebrano le prime prove finalmente efficaci nel tenere asciutta la città. Ma il dramma odierno, con Venezia di nuovo allagata, dimostra che il Mose non è la macchina migliore per fronteggiare repentini mutamenti del meteo (e del clima), per l’elefantiaca modalità di azione, perché comunque non protegge le parti basse della città (per questo serve altro: i rialzi delle insule, gli scavi e il riequilibrio di canali e rii, le protezioni a mare ecc.), perché se si chiude poco o per niente (come ieri) non difende Venezia e se invece si chiude troppo (come rischia di essere presto) colpisce l’equilibrio dell’ecosistema (interrompe il vitale ricambio tra mare e laguna, modifica le correnti) e l’economia portuale (le navi non entrano né escono). Il Mose rischia di essere una trappola non perché non funziona, ma perché, sistematicamente, funziona nel modo sbagliato».

INTANTO I VENEZIANI si arrangiano con il loro, di Mose, come hanno sempre fatto, quelle piccole paratie che si incastrano alla base degli stipiti degli ingressi, e da là dietro guardano rassegnati l’acqua alzarsi.