Il museo del mosaico Tamo di Ravenna (www.tamoravenna.it) ha appena inaugurato la sezione permanente dedicata alla villa suburbana romana rinvenuta, nel 2011, a Piazza Anita Garibaldi. Un nuovo tassello per ribadire, nella capitale del mosaico, quella continuità graduale che dà forma allo sviluppo della storia: a Ravenna, l’arte musiva era già consolidata ben prima dell’esarcato bizantino e non fu un’imprevedibile impeto del Tardoantico.

Lo scavo, avvenuto in occasione dei lavori della multiutility Hera per un’isola ecologica interrata, è stato diretto dalla Soprintendenza per i Beni archeologici dell’Emilia Romagna. Il distacco, la pulitura e il consolidamento dei mosaici, finanziati da Hera, sono stati effettuati dalla restauratrice Paola Perpignani nei laboratori gestiti dalla Fondazione RavennAntica presso il Museo di Classe.

Le decorazioni scoperte appartengono a una fase della villa databile tra il I e il II secolo d.C.: intorno a un cortile con un pozzo al centro, si aprivano quattro ambienti pavimentati con mosaici a disegni geometrici in bianco e nero. La domus sorgeva a poche centinaia di metri dal mare, oggi distante oltre 7 km. Per raggiungere la spiaggia, i suoi inquilini dovevano scavalcare estese dune sabbiose, circondate da piccole necropoli fuori porta. Fu abbandonata a partire dal III secolo, probabilmente a causa di un incendio, come documentano i resti delle travi lignee del tetto, crollate e carbonizzate.

Suggestivo, nonché filologicamente corretto, l’allestimento curato dall’architetto Paolo Bolzani nel refettorio del convento annesso a San Nicolò, dove nel 2011 la Fondazione RavennAntica ha realizzato il Tamo: i mosaici sono presentati nel contesto di scavo, video-proiezioni ricordano la vicinanza dell’Adriatico, un muro tardoantico è sopraelevato per suggerire la percezione della stratigrafia. Sul settore occidentale della villa, nel VI secolo venne innalzato un edificio; gli archeologi ne hanno identificato una struttura muraria in laterizi di riutilizzo, che finì per intaccare i più antichi mosaici. È significativo che la fondazione del muro poggiasse su pali in legno, secondo un metodo diffuso in territori contraddistinti da un sottosuolo ricco d’acqua. E ricca d’acqua era l’antica Ravenna, delimitata a est dal mare e attraversata da numerosi fiumiciattoli e canali.

Anche questa la ragione dell’accattivante titolo attribuito all’allestimento: Il genio delle acque, nome ispirato dall’unica figura presente sui mosaici che, con la sua barba e una corona di foglie sul capo, ricorda una divinità fluviale.

L’arte musiva spiccò il volo a Ravenna agli inizi del V secolo, quando la città divenne prima capitale dell’impero romano d’Occidente – qui nel 476 venne deposto l’ultimo imperatore, Romolo Augustolo, dall’erulo Odoacre -, in seguito sede del regno di Teodorico e, infine, del dominio bizantino in Italia.

Tamo, Tutta l’Avventura del Mosaico, è un museo in divenire ospitato nella chiesa romanica di San Nicolò, realizzata a navata unica nel 1364, e negli annessi chiostri edificati nel Cinquecento dai monaci agostiniani. Nel marzo del 2012 si è arricchito di opere a soggetto dantesco commissionate dal Comune per celebrare il VII centenario della nascita di Dante. Aut lux hic nata est, aut capta hic libera regnat: «o la luce è nata qui o, catturata, qui regna libera», recita l’esametro iscritto a tempera nella cappella ravennate di Sant’Andrea, impreziosita da splendidi mosaici. La stessa sublime visione della luce, sacra e profana allo stesso tempo, cantata da Dante, che a Ravenna visse i suoi ultimi felici anni prima di morirvi di malaria nel 1321, di ritorno da Venezia. Un Dante celebrato dal romagnolo Pascoli nell’ode Alla cometa di Halley, dove il poeta fiorentino, rivendicando la sua dignità di uomo che non vuole chinare il capo nemmeno di fronte al mistero del più terribile degli astri, urla al cielo: «io mi son un che penso e sempre è il mio domani». È questo l’orgoglio libertario del classicismo antico, che i mosaici ravennati hanno contribuito a traghettare nel Medioevo, e dell’umanesimo rinascimentale: l’orgoglio dell’arte sul quale punta Ravenna per essere selezionata Capitale europea della cultura nel 2019.

L’importanza della domus di Piazza Anita Garibaldi sta invece nei panorami topografici che svela, in quel suo riavvicinare la memoria di un mare allontanato dai secoli, caratteristica che accomuna Ravenna con altri siti italiani. Il Progetto Ostia Marina, diretto da Massimiliano David dell’Alma Mater di Bologna, sta indagando terme adrianee affacciate all’epoca sulla linea di costa, oggi distante 4 km. A Pisa, a circa 500 metri in linea d’aria dalla torre pendente, nel 1998 sono state rinvenute oltre trenta navi affondate sul posto, presso uno scalo fluviale, tra il III e il VII secolo.

Classis in latino significa «flotta» e Civitas Classis fu il nome assegnato al principale porto militare dell’Adriatico, voluto da Augusto nel 27 a.C., a 5 km dall’attuale centro di Ravenna. Il nome lo conserva la magnifica basilica di Sant’Apollinare in Classe, innalzata all’inizio del VI secolo. Dove era il porto, ai tempi di Boccaccio sorgeva una pineta. Tra i pini, nella novella del Decamerone che ha per protagonista Nastagio degli Onesti, ogni venerdì una donna nuda, invano in fuga da un cavaliere nero, viene sbranata dai cani per non aver ricambiato un amore.

In questo territorio denso di miti, nel XXI secolo, la Fondazione RavennAntica promuove campagne di scavi con la fondata speranza di realizzare un parco archeologico intorno alla basilica di Sant’Apollinare in Classe, patrimonio Unesco dell’Umanità.